PRIVACY - Basta la diffida dell'Avvocato per la revoca del consenso al trattamento dei dati.

Ennesimo successo professionale dello Studio Frattallone & Partners Law Firm in materia di data protection.

Ennesimo successo professionale dello Studio Frattallone & Partners Law Firm in materia di data protection. 
La Suprema Corte ha accolto e fatta propria la tesi secondo cui, ai fini della revoca del trattamento di dati personali di una persona, di regola è sufficiente la comunicazione rivolta, al titolare del trattamento, dal legale che assiste l'interessato. 
Nella fattispecie, a seguito dell'interruzione d'un rapporto di collaborazione, un professionista, rivoltosi allo Studio, aveva manifestato la volontà che fosse immediatamente rimossa ogni menzione alla sua persona dal sito web ufficiale dell'azienda con cui aveva avuto un precedente rapporto di lavoro, atteso che on-line lì ancora comparivano dei suoi riferimenti. La revoca del consenso era stata inviata dall'Avvocato, con diffida al titolare del trattamento. 
Il Tribunale di Milano, che era stato adito dall'interessato con Ricorso ex art. 142 Codice Privacy, aveva ritenuto che la revoca non fosse valida ed efficace nei confronti del titolare del trattamento, perché priva della sottoscrizione della parte assistita. La Massima Assise ha ribaltato la decisione, bollandola come errata e, perciò, la ha in radice cassata con rinvio, cogliendo l'occasione per introdurre nell'Ordinamento Giuridico il seguente principio di diritto: «la revoca del consenso al trattamento dei dati personali può essere espressa dall'interessato con richiesta rivolta senza formalità al titolare o al responsabile del trattamento, anche per il tramite di un legale di fiducia»

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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
PRIMA SEZIONE CIVILE 

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PRIVACY - Videosorveglianza, da gg. 7 a mesi 7 l'allungamento per conservare le registrazioni.

Quali sono i tempi standard di conservazione delle riprese effettuate mediante sistemi di videosorveglianza? C'é una regola? Vi si può derogare? Per quali ragioni? A queste e ad altre risposte è dedicato il provvedimento del Garante privacy, che ha concesso - in via del tutto eccezionale - a una nota azienda di prolungare il periodo di cui conservare i dati con le immagini acquisite tramite le telecamere presenti nei locali commerciali.   Insomma, secondo l'antico adagio "venexiano", il Garante si è reso conto di "esser tra le do aque", ovverosia di dover bilanciare due opposte difficoltà, e nel caso di specie ha optato - l'eufemismo rende - per un non modesto ampliamento dell'arco temporale: i termini brevi di conservazioni possono dunque risultare, anche in un'azienda assai organizzata e di grossi dimensioni (figurarsi le p.m.i.!) nient'affatto funzionali rispetto allo scopo, necessitando di margini più ampi per un effettivo controllo delle immagini nel back office.  
In via astratta, statuisce il provvedimento sulla videosorveglianza datato 08.04.2010 (al punto 3.4) che l’eventuale conservazione delle immagini dev'essere limitata a poche ore o, al massimo, alle 24 ore successive alla rilevazione, a meno che sussistano delle "speciali esigenze" che rendano necessario un maggiore arco temporale o in relazione a festività o chiusura di uffici e esercizi o qualora si debba aderire a "specifiche richieste" dell'Autorità Giudiziaria o di Polizia Giudiziaria, per finalità investigative, o anche se siano ravvisabili "peculiari esigenze tecniche o per la particolare rischiosità dell'attività" svolta, nel qual caso il termine massimo può giungere anche a 1 settimana. In quest'ultimo caso, però, è indispensabile che sia preliminarmente eseguita la procedura di Verifica da parte dell'Autorità per la protezione del dati personali, che constaterà la ricorrenza dei presupposti di legge (cfr. Art. 17 D.L.vo n° 196/03 - Trattamento che presenta rischi specifici).

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PRIVACY - Fino a quando la visura camerale deve riportare i dati dell'A.U. della società fallita?

Cassazione Civile, Sez. I, Ordinanza Interlocutoria del 21.05/17.07.2015 n° 15.096/2015

Esiste un limite di tempo per il trattamento dei dati personali di una persona fisica da parte delle Camere di Commercio, oppure si è destinati a restare per sempre "in vetrina"?
Prevale il "diritto all'oblio" dell'interessato, a ottenere la cancellazione del proprio nominativo e degli altri suoi dati personali trattati dall'ente camerale in riferimento a società dallo stesso amministrate (e poi magari cancellate e/o fallite), o è più importante l'interesse collettivo a poter fruire sine die del sistema di pubblicità assicurato dal Registro delle Imprese, che rende pubblici appunto - e quindi visibili da chiunque - quei dati personali?
E comunque, ammesso e non concesso che un limite temporale esista, la sua determinazione compete discrezionalmente di volta in volta alla camera di commercio chiamata a rendere la visura?
Torna alla ribalta la problematica dell'interferenza, da un lato, tra codice privacy e libera iniziativa economica (col connesso diritto ad ottenere l'anonimizzazione dei propri dati personali), e, dall'altro, l'interesse - collettivo e speculare - che i terzi possano conoscere, sempre e senza limiti quegli stessi dati, inerenti alle imprese commerciali a loro riconducibili. 
Le questioni sono assai rilevanti, perché è stata prevista un'enorme implementazione a livello dell’UE dei Registri delle Imprese: con la Direttiva 2012/17/UE è stato creato il B.R.I.S. (“Sistema di Interconnessione dei Registri delle Imprese”, in inglese "Business Registers Interconnection System"), che dovrebbe entrare in funzione entro l’8 giugno 2017.

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PENALE - La mera estrazione dei dati da un computer non è atto irripetibile

Accade, talvolta, che le ragioni di diritto vengano piegate alle logiche di giustizia. Si assiste, in questi casi, a declaratorie d’inesistenza di violazioni macroscopiche, compiute in sede di indagini preliminari dalla p.g., dalla p.o. oppure dal P.M., che contrastano con gli assunti scientifici che governano un certo settore della tecnologia. Questo è quanto, oramai di frequente, si legge in materia informatica e telematica. La «chicca», ribadita dalla Cassazione, è la seguente: «non dà luogo ad accertamento tecnico irripetibile la mera estrazione dei dati archiviati in un computer, trattandosi di operazione meramente meccanica, riproducibile per un numero indefinito di volte», e ciò asseritamente «poiché non esiste, ad oggi, uno standard prestabilito per la metodologia di trattamento ed analisi delle prove informatiche», talché «l’eventuale alterazione dei dati informatici - e, quindi, la loro inutilizzabilità - a seguito di operazioni effettuate sugli hard disk o su altri supporti informatici, costituisce oggetto di un accertamento di fatto da parte del giudice di merito che, se congruamente motivato, non è suscettibile di censura in sede di legittimità».

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INTERNATIONAL TRADE - Società quotate e operazioni con parti correlate: la Commissione Eu verso la modifica della Shareholders' Right Directive

Cosa accade quando una società cede un bene aziendale al coniuge dell’amministratore delegato? Quale è la disciplina perché l’azienda possa comprare un immobile da un familiare di un manager, qualora si reputi che su quel terreno possa venire edificato un edificio a uso commerciale o un capannone industriale? V’è una disciplina per determinare il compenso dei manager di una società o degli amministratori? A quali condizioni alla società «madre» è consentito, nell’ambito delle operazioni cc.dd. infra-gruppo, cedere un appalto a una delle società controllate? Alla risposta a queste e ad altre domande sono preposte delle specifiche norme contenute nel codice civile e nel testo unico sulla finanza, oltreché nei regolamenti emanati dall’autorità di vigilanza del settore, la Consob, e in direttive europee, atte a disciplinare il crescente fenomeno della gestione degli interessi nelle operazioni con parti correlate (o.p.c.). Il tema della «governance», sempre più attuale, rientra sotto questo profilo nel concetto di conflitto d’interessi, reale o anche solo potenziale, tra società e soggetto che con essa abbia particolari rapporti. Il rischio, si è osservato, è che detta relazione possa inficiare la neutralità dell’operazione.

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