Privacy

PRIVACY - Il Garante svedese e il nuovo assetto del ‘right-to-be-forgotten’.

oscuramento pagine web e deindicizzazione

Diritto all’oblio e Privacy sul web

Il Garante della privacy per la Svezia ha adottato una decisione con cui ha condannato Google per violazione del ‘right-to-be-forgotten’. Nel caso di specie il diritto all’oblio era fondato e persino Google lo ha ammesso. La questione era però un’altra: erano sufficienti le misure apprestate dal motore di ricerca per dare esecuzione alla fondata richiesta di veder garantito il diritto all’oblio? La decisione della Swedish Data Protection Authority, che ha condannato Google a pagare ben 8 milioni di dollari, con ordine di mantenere l’oscuramento  dei  siti web, ha però una portata assai più vasta. Cerchiamo di capire perché, analizzando il provvedimento della DPA, che è reperibile a questo link istituzionale https://edpb.europa.eu.  

La disciplina del diritto all'oblio.

Il diritto a crescere e migliorare, senza essere costretti a vedersi rinfacciato eternamente il proprio passato, è stato ammesso dall’Ordinamento nel 2014 ed è stata introdotto allo scopo di tutelare i cittadini, consentendo loro di veder tolte le pagine web contenenti informazioni considerate potenzialmente dannose.

In Italia le prime pronunce risalgono agli anni ’90 (Sent. 15.05.1995 Tribunale Roma).


La Suprema Corte di Cassazione, con  Sent. n° 3679/1998, aveva stabilito che anche l’elemento dell'attualità della notizia, dovesse aggiungersi ai tre pre-requisiti del diritto di cronaca (già identificati con Sent. Cass. n° 5259/1984), cioè all’interesse pubblico o utilità sociale dell’informazione, alla pertinenza ovverosia della  verità oggettiva o almeno putativa dei fatti esposti, alla continenza, e quindi correttezza e forma adeguata nel  riferire i fatti e darne valutazione.  Difatti se, in forza dell’art. 21 Cost., l'interesse pubblico rappresenta un argine al diritto alla riservatezza, a ogni persona va riconosciuto un contrapposto il diritto all'oblio, affinchè non vengano ulteriormente divulgate notizie che, per il trascorrere del tempo, risultino ormai dimenticate o ignote alla generalità dei consociati. Dunque, fino a quando è lecita la permanenza della notizia all’interno della memoria della rete internet?

Il Garante privacy aveva stabilito, già nel 2005 e nel 2006, che doveva considerarsi illecito riproporre, a oltre tre lustri distanza dal fatto, notizie concernenti una persona legata affettivamente al diretto interessato e che, comunque, non bastano rettifiche e cancellazioni eseguite dal gestore del sito, dato che spesso rimangono in rete non aggiornate copie cache delle pagine o gli abstract, che ne forniscono una sintesi.

La Convenzione europea dei diritti dell’uomo (la C.E.D.U. è del 1950), sancisce all’art. 8 il diritto al rispetto della vita privata e familiare, inteso come diritto fondamentale (cfr. anche l’art. 12 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo).

La Commissione Europea ha dichiarato, nel 2010, che il cittadino dovrebbe vedersi riconosciuto il diritto all’oblio quando i suoi dati non siano più necessari, per assenza dell’interesse pubblico, o voglia che i suoi dati vengano eliminati.

La Corte di Giustizia europea è finalmente intervenuta nel 2014 (pronuncia del 13.05.2014 nella causa C-131/12) per fornire tutela giuridica attuale al diritto all’oblio, stabilendo che a un cittadino spagnolo, il quale aveva proposto contro Google e altri un reclamo al Garante privacy iberico (AEPD),  andava riconosciuto il diritto a veder rimosse dal web le pagine relative a una procedura di espropriazione immobiliare (con debito risalente ad anni addietro ed estinto) nonché, in capo a Google, a doversi attivare per rimuovere quei dati per non farli più comparite sul motore di ricerca. La Corte di Giustizia UE (CGUE), sebbene la pubblicazione potesse essere avvenuta all’inizio in modo del tutto lecito,  stabilì che il motore di ricerca avrebbe potuto venire obbligato alla rimozione laddove i siti sorgente non li avessero autonomamente eliminati: insomma, vanno rimossi dall’indice di Google i link a pagine o elementi digitali (foto/video, etc.) con informazioni inadeguate, non pertinenti o non più pertinenti o eccessive in rapporto alle finalità per le quali sono stati trattate e al tempo trascorso.

Un passaggio epocale, che il 25.05.2018 il GDPR ha quindi recepito, a livello normativo col Regolamento che è direttamente applicabile in ogni Stato dell’Unione, questo diritto alla cancellazione ammesso dalla GUCE e enucleato in un vero e proprio diritto all’identità personale spettante ai privati. Ma annualmente a Google giungono milioni di richieste di deindicizzazione e neanche la metà (appena il 45%) sono realmente effettuate, peraltro motivando con criteri per lo più condivisi dal Garante italiano.

Il caso svedese.

I motori di ricerca non devono chiedere ai vari amministratori dei siti web, contenenti le pagine i link da rimuovere, di procedere alla loro eliminazione, ma debbono direttamente nascondere la pagina, occultandola  dai risultati delle ricerche.

La recente condanna di Google a pagare 75 milioni di corone è dovuta al mancato rispetto, accertato dall’Autorità svedese, del regolamento generale europeo sulla protezione dei dati (GDPR), per non aver adeguatamente rimosso, né tempestivamente rimosso, dei link che non avrebbero più dovuto comparire tra i risultati di ricerca.

Ne era stata chiesta la de-indicizzazione e, nel 2017, ne era stata disposta la rimozione da internet. Il gigante di Internet lo avrebbe fatto ma, in una primo caso, avrebbe ottemperato in maniera incongrua, mentre nel secondo avrebbe ritardato di darvi esecuzione. Essenziale, per proteggere il diritto all'oblio, è innanzitutto, impedire che la rimozione avvenga in modo improprio e che abbia luogo senza indebito ritardo.  

L’efficacia erga omnes della decisione svedese, ove venisse confermata.

Ma altrettanto importante d’ora in poi – è questo è il principio espresso per ogni cittadino di qualsivoglia Stato membro dell’UE - Google e gli altri motori di ricerca non debbano comunicare agli amministratori del sito web interessato, sui cui erano presenti quei link, che l’indirizzo telematico verrà rimosso dall’elenco dei possibili risultati restituiti agli internauti. In precedenza Google, nell’approvare la richiesta di deindicizzazione, informava l’amministratore del sito web de quo che si accingeva a tutelare il diritto al delisting, ma questi avrebbe potuto aggirare il blocco all’indicizzazione, spostandone il contenuto del link ad altra url, con banale espediente tecnico tale da rendere priva di efficacia concreta il delisting. Ma d’ora innanzi sarà più difficile: per il futuro, infatti, non sarà dovuta alcune notifica al proprietario/gestore del sito web, se v’è una richiesta di deindicizzazione accolta perché contrastante con il diritto all'oblio. 

Questa nuova pronuncia, però ancora sub iudice, ha quindi accresciuto il livello di responsabilità delle organizzazioni che raccolgono e elaborano dati personali. Google ha tre settimane per ricorrere avverso la condanna e intenderebbe appellare entro tre settimane la condanna della Swedish DPA.
Vedremo se e come si consoliderà quest’orientamento che varrebbe per tutti, erga omnes appunto. 
Lo Studio Frattallone & Partner Law Firm si è già occupato di delicatissimi casi di diritto all'oblio, in alcuni casi risolti in via stragiudiziale, in altri tramite l'intervento del Garante italiano e, in altri, ancora mediante ricorso all'Autorità Giudiziaria, sino in Cassazione, per ottenere tutela per le parti assistite. 



 

 

 

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