Investigazioni

INVESTIGAZIONE PRIVATA - Dati anagrafici e imposto di bollo.

marche da bollo L’investigatore privato che accede agli Uffici comunali è sempre tenuto a corrispondere l’imposta di bollo per le richieste di informazioni anagrafiche?

Per dare compiuta risposta a tale quesito è necessario analizzare le regole poste dalla normativa sulla documentazione anagrafica e, segnatamente, l’art. 4 Tariffa All. A D.P.R. n° 642/1972 (Disciplina dell’imposta di bollo), gli artt. 33 e ss. D.P.R. n° 223/89 e l’art. 40 D.P.R. n° 445/00, così come modificato dall’art. 15 L. n° 183/11. 
L’art. 1 del D.P.R. n° 642/1972 - che disciplina l’imposta di bollo - espressamente prevede che:
Sono soggetti all'imposta di bollo gli atti, i documenti e i registri indicati nell'annessa tariffa”.

La tariffa di cui all’Allegato A del predetto D.P.R., all’art. 4, a sua volta dispone che sono soggetti a imposto di bollo fin dall’origine (pari a € 14,62) gli “Atti e provvedimenti  degli  organi della amministrazione  dello  Stato, delle regioni, delle province, dei comuni, loro consorzi e associazioni, delle comunità montane e delle unità sanitarie locali, nonchè quelli degli enti  pubblici in relazione alla tenuta di pubblici registri, rilasciati anche in estratto  o  in copia dichiarata conforme all'originale a coloro che ne abbiano fatto richiesta”. 
L’allegato B del D.P.R. n° 642/1972, poi, indica specificamente i casi di esenzione dalla predetta imposta, tra i quali, però, non è possibile far rientrare la richiesta proveniente da un investigatore privato. 

Pertanto, dal combinato disposto delle norme sopra esposte, discende che il rilascio dei certificati anagrafici è soggetto, per legge, all’imposta di bollo di € 14,62. 

A questo punto, ci si deve porre un'ulteriore domanda: i competenti uffici possono fornire informazioni anagrafiche con modalità diverse dal rilascio di certificati?
Ove, infatti, la risposta quest'altro quesito fosse affermativa - dato che l’imposta di bollo è prevista solo per i certificati - il richiedente potrebbe legittimamente rifiutarne il pagamento, così avendo titolo per chiedere ed ottenere il lecito rilsacio di notizie dall'anagrafe, senza però doversi sobbarcare dei relativi costi di bollo.
Per coloro che si occupano imprenditorialmente di acquisire informazioni per finalità commerciali, invero, la questione non è di poco momento.  
Sul piano normativo, l’art. 33 del D.P.R. n° 223/89 così disciplina la materia:
l'ufficiale di anagrafe rilascia a chiunque ne faccia richiesta, fatte salve le limitazioni di legge, i certificati concernenti la residenza e lo stato di famiglia. Ogni altra posizione desumibile dagli atti anagrafici, ad eccezione delle posizioni previste dal comma 2, dell'articolo 35, può essere attestata o certificata, qualora non vi ostino gravi o particolari esigenze di pubblico interesse, dall'ufficiale di anagrafe d'ordine del sindaco”. 
Tale norma è stata unanimemente interpretata nel senso di escludere che i pubblici uffici possano fornire a terzi, diversi da altri enti pubblici, informazioni anagrafiche con modalità differenti dal rilascio di certificazioni (cfr., sul punto, la Nota dell'A.E. Direzione Regionale Emilia-Romagna del 26.02.10). 
Anche il Garante per la protezione dei dati personali - nella Nota tecnica per l’applicazione da parte dei Comuni della normativa in materia di riservatezza del 23.05.00 - ha ribadito tale preclusione.
Anzi il Garante privacy ha chiarito che:
non sembra anzitutto possibile che il regolamento dell'ente locale preveda forme di divulgazione degli atti anagrafici in contrasto con le norme statali che prevedono solo il rilascio di certificati o che limitano la consultazione delle schede anagrafiche o il rilascio di elenchi di iscritti nell'anagrafe della popolazione, norme su cui il Garante ha richiamato più volte l'attenzione con diversi provvedimenti (artt. 33 ss. D.P.R. 30 maggio 1989, n° 223). Quanto allo stato civile, il regime di parziale pubblicità dei relativi registri (art. 450, co. 1, C.C.) comporta non la loro libera consultabilità, ma solo la possibilità che l'ufficiale dello stato civile rilasci determinati certificati ed estratti secondo le prescrizioni di legge (art. 450, co. 2, C.C.; artt. da 184 a 195 R.D. 9 luglio 1939, n. 1238), ovvero compia sugli atti affidati alla sua custodia "le indagini domandate dai privati" (art. 450, co. 3, C.C.)”. 

Alla luce di quanto finora precisato, pertanto, rimane confermato che il Comune può legittimamente fornire dati anagrafici solo mediante il rilascio dei relativi certificati, i quali normalmente presuppongono il previo assolvimento dell’imposta di bollo.

Va, infine segnalata la recentissima innovazione in materia di dati anagrafici introdotta dall’art. 15 L. 183/11.
Tale disposizione ha modificato l’art. 40 del D.P.R. 445/00, ossia la norma del regolamento in materia di documentazione amministrativa. 
Secondo la novella, invero:
le certificazioni rilasciate dalla pubblica amministrazione in ordine a stati, qualità personali e fatti sono valide e utilizzabili solo nei rapporti tra privati. Nei rapporti con gli organi della pubblica amministrazione e i gestori di pubblici servizi i certificati e gli atti di notorietà sono sempre sostituiti dalle dichiarazioni di cui agli articoli 46 e 47. Sulle certificazioni da produrre ai soggetti privati è apposta, a pena di nullità, la dicitura: «Il presente certificato non può essere prodotto agli organi della pubblica»”.
La nuovissima regola, inserita nell’ambito di un generale spirito di semplificazione nei rapporti tra cittadini e la P.A., non muta però l’assetto normativo sopra descritto.
In particolare, nulla può dirsi mutato in ordine al fatto che i Comuni “parlano” solo per il tramite dei certificati anagrafici e, altresì, che questi ultimi sono soggetti all’imposta di bollo (salvo le note ma contenute specifiche ipotesi di esenzione).

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