Ord. forense

ORD. FORENSE - Assistenza stragiudiziale e nullità del contratto con l'agenzia d'infortunistica, per svolgimento di attività riservata.

nullità del contratto con l'agenzia infortunistica

L'attività stragiudiziale è riservata oppure no?
De iure condito quali sarebbero, nel caso di risposta affermativa, i criteri da applicare per considerarla tale?
Il Tribunale di Cagliari, nell'interessante sentenza qui sotto riportata, ha scandagliato la problematica della natura riservata o meno delle prestazioni extragiudiziali da parte di soggetti estranei alla categoria forense e ne ha tratto la seguente conclusione:

"Non può ritenersi che sia individuabile nell’ordinamento un principio incondizionato di libertà di assistenza e consulenza legale stragiudiziale, in generale e, in specie, nella cosiddetta materia della infortunistica stradale [...]

L’esercizio non titolato di una professione protetta come quella dell’avvocatura non lede, infatti, come è noto, solo gli interessi circostanziati e diffusi degli appartenenti alla categoria forense, ma pregiudica soprattutto l'interesse pubblico a che la professione stessa sia esercitata da soggetti abilitati, e, più concretamente, gli interessi di coloro che di volta in volta si trovano nella necessità di ricorrere, per la tutela dei propri diritti ed interessi, all’attività professionale. La limitazione del suo esercizio, e la sua sottrazione all’iniziativa imprenditoriale, può conseguentemente essere stabilita dal legislatore ordinario per assicurare al cittadino e, conseguentemente, al sistema nel suo complesso, adeguate garanzie di attitudine e qualità, di correttezza, di imparzialità e di responsabilità. [...] Esclusivamente al di fuori delle professioni intellettuale riservate e per tutte le altre prestazioni di assistenza o di consulenza, quindi, può ritenersi vigente il principio generale di libertà di lavoro autonomo o di libertà di impresa di servizi. [...] il compimento di atti stragiudiziali di tutela del diritto e la consulenza giuridica sono consentiti, al di fuori del mandato di assistenza legale, solo qualora si tratti di attività occasionale e non durevoli, e, quindi, al di fuori della assistenza professionale legale.".
Il Giudice Vincenzo Amato - che coraggiosamente motivò nel 2003 tale la sua decisione - concluse, pertanto, nel senso di ritenere che "con riferimento alla rilevata invalidità, è necessario richiamare il disposto dell'art. 2231 c.c., da cui può trarsi che dia luogo a nullità assoluta del rapporto, rilevabile anche d'ufficio, l'esecuzione di una prestazione d'opera professionale di natura intellettuale effettuata da chi non sia iscritto nell'apposito albo previsto dalla legge. La nullità, privando il contratto di qualsiasi effetto, non attribuisce infatti al prestatore dell’opera l’azione per il pagamento del compenso .
È inoltre nullo, per l'inosservanza degli art. 2229 e 2231 c.c., il contratto stipulato con una società ogni qual volta, come nel caso in esame, si tratti di professionalità protetta, materia in cui è inderogabile il principio della personalità dell'esercizio e dell'incarico.
Il prestatore, oltre a non aver diritto al compenso (che se corrisposto può essere ripetuto, come indebito oggettivo, secondo la previsione di cui all’art. 2033 c.c.), non può neppure far ricorso utilmente all'azione generale di arricchimento senza causa prevista dall’art. 2041 c.c.".

 

La davvero importante pronuncia sarda (oramai invero superata dal corso degli eventi, per tutto ciò che attiene alle modifiche legislative, prime tra tutte quelle in materia di tariffe!) ha il pregio di stigmatizzare, in modo cristallino, la questio iuris della "riserva" dell'attività di assistenza stragiudiziale, su cui il Parlamento sta legiferando in questi giorni.
La Camera dei Deputati, infatti, con l'esame in aula avvenuto il 09.10.2012, ha votato il nuovo testo dell'art. 2, commi 5 e 6, della riforma forense (Atto Camera n° 3900, Rel. CASSINELLI, Proposta di legge: S. 601-711-1171-1198. - Senatore GIULIANO; Senatori CASSON ed altri; Senatori BIANCHI ed altri; Senatore MUGNAI: "Nuova disciplina dell'ordinamento della professione forense", già approvata, in un testo unificato, dal Senato), stabilendo, fra l'altro, l’inserimento tra le attività riservate in esclusiva agli avvocati delle attività di consulenza legale e assistenza legale stragiudiziale.
In particolare, questo potrebbe essere il testo di legge, se il Senato giungesse a votare la riforma che, sul punto, ad oggi ha il seguente tenore:
"5.
Sono attività esclusive dell'avvocato, fatti salvi i casi espressamente previsti dalla legge, l'assistenza, la rappresentanza e la difesa nei giudizi davanti a tutti gli organi giurisdizionali e nelle procedure arbitrali rituali.
6. Fuori dai casi in cui ricorrono competenze espressamente individuate relative a specifici settori del diritto e che sono previste dalla legge per gli esercenti altre professioni regolamentate,  l’attività professionale di consulenza legale e di assistenza legale stragiudiziale ove connessa all’attività giurisdizionale è di competenza, se svolta in modo continuativo, sistematico e organizzato, degli avvocati. È comunque consentita l'instaurazione di rapporti di lavoro subordinato ovvero la stipulazione di contratti di prestazione di opera continuativa e coordinata, aventi ad oggetto la consulenza e l'assistenza legale stragiudiziale, nell'esclusivo interesse del datore di lavoro o del soggetto in favore del quale l'opera viene prestata. Se il destinatario delle predette attività è costituito in forma di società, tali attività possono essere altresì svolte in favore dell'eventuale società controllante, controllata o collegata, ai sensi dell'articolo 2359 del codice civile. Se il destinatario è un'associazione o un ente esponenziale nelle diverse articolazioni, purché portatore di un interesse di rilievo sociale e riferibile ad un gruppo non occasionale, tali attività possono essere svolte esclusivamente nell'ambito delle rispettive competenze istituzionali e limitatamente all'interesse dei propri associati ed iscritti.".


TRIBUNALE DI CAGLIARI
REPUBBLICA ITALIANA
Sentenza 10.06.2004, in causa R.G. n° 2459/11

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale di Cagliari, in persona del Giudice istruttore dott. Vincenzo Amato, in funzione di Giudice unico, ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa iscritta al n. 2459 del ruolo generale degli affari contenziosi civili per l'anno 1999, promossa da
* Massimiliano, * Simona, * Remo, per sé e per la figlia * Susanna, in forza di procura rilasciata il 9 marzo 1999, autenticata il 16 marzo 1999 presso l’Ambasciata d’Italia in Nuova Zelanda, tutti elettivamente domiciliati in (omissis) presso lo studio dell'Avv. G.D., che li rappresenta e difende per procura speciale a margine dell'atto di citazione, attori,
contro
*, con sede in Latina ed elettivamente domiciliata in Cagliari presso lo studio dell'avv. M.B., che la rappresenta e difende per procura speciale alle liti 21 luglio 1999, autenticata dal notaio dott. G.C., convenuta,
La causa è stata decisa sulle seguenti

CONCLUSIONI
Nell'interesse degli attori: voglia il Tribunale, contrariis reiectis,
1) in via principale:
a)      accertare e dichiarare che l'obbligazione relativa al pagamento del compenso dedotta nel contratto di mandato sottoscritto dal sig. * Remo e * Massimiliano e dalla * viola il divieto dei patto di quota lite;
b)      conseguentemente dichiarare la nullità del patto relativo al compenso preteso dalla *;
c)      accertare e dichiarare come non dovuto il credito preteso dalla * relativo alle somme dalla stessa anticipate, ma non documentate;
d)      accertare e dichiarare non dovute alla * le somme richieste nei confronti delle signore * Susanna e Simona;
e)      con vittoria di spese e competenze di causa;
2) in via subordinata:
‑ accertare e dichiarare l'insussistenza dell'obbligazione dedotta dalla * relativa al pagamento del compenso considerato che il sig. * Remo e Massimiliano revocarono il mandato conferito alla * prima dell'esecuzione dell'incarico. Conseguentemente, determinare equitativamente il compenso spettante alla convenuta;
‑ accertare e dichiarare come non dovuto il credito preteso dalla * relativo alle spese dalla stessa anticipate ma non documentate e quelle pretese nei confronti delle signore * Susanna e Simona;
‑ compensando le spese giudiziali qualora la *, ritenuta e accettata l'insussistenza del proprio preteso diritto di credito, per compenso e spese anticipate, si rimettesse all'accertamento giudiziale di quanto realmente dovuto dai sig.ri * Remo e Massimiliano. Con vittoria di spese e competenze di causa nel caso in cui invece la * insistesse nella propria pretesa.
Nell'interesse della società convenuta: voglia il Tribunale, contrariis reiectis,
-            in via pregiudiziale: pronunciare sentenza di litispendenza della presente causa a favore di quella iscritta al r.a.c. del Tribunale di Cagliari al n. 2313/99;
-            nel merito: rigettare le avverse richieste in quanto infondate in fatto e diritto;
-            in ogni caso: con vittoria di spese, diritti ed onorari.
Nella causa riunita, voglia il Tribunale, contrariis reiectis,
a) accertare e dichiarare che la revoca della procura rep. 8924, da parte di * Remo, è inefficace ai sensi dell'art. 1726 c.c. e pertanto è tuttora vigente tra le parti il contratto di mandato;
b) in via subordinata, accertare e dichiarare che la revoca della procura a mezzo di atto rep. 9206 è intervenuta senza giusta causa, e per conseguenza condannare i sigg.ri * Remo, * Massimiliano e * Simona alla rifusione dei danni alla * (ora *) nella somma di lire 60.665.529 quantificata in citazione od in quella maggiore o minore che vorrà accertare, con gli interessi legali e rivalutazione monetaria dalla domanda al saldo e con la condanna alle spese che segue la soccombenza.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato regolarmente, Massimiliano *, Simona * e Remo *, per sé e per la figlia Susanna *, hanno convenuto in giudizio davanti a questo Tribunale la *, esponendo:
~          il 4 agosto 1996 Paolo * era deceduto a seguito di un sinistro verificatosi lungo la s.s. Carlo Felice, in territorio di Mogoro, lasciando eredi il padre Remo ed i fratelli Simona, Susanna e Massimiliano;
~          il 22 febbraio 1997, Remo e Massimiliano *, dopo esser stati contattati dalla *, si erano accordati con la convenuta, la quale aveva garantito che si sarebbe occupata della "gestione del sinistro", sia nella fase stragiudiziale che in quella eventuale giudiziale;
~          l'accordo era stato formalizzato successivamente, ma del documento che era stato formato non era mai stata rilasciata alcuna copia a Remo e Massimiliano *;
~          la * aveva provveduto a mettere in mora la compagnia di assicurazioni * s.p.a., con l'invio di una lettera con richiesta di risarcimento dei danni, ma non era stato possibile raggiungere alcun accordo;
~          per la successiva fase giudiziale, resa necessaria dal mancato riconoscimento del diritto al risarcimento dei danni conseguenti al sinistro, gli eredi avevano conferito l'incarico all'avv. * del Foro di Roma ed all'avv. * del Foro di Cagliari;
~          il 10 ottobre 1997 era stato notificato *, proprietario del veicolo su cui viaggiava il loro congiunto, ed alla * assicurazioni s.p.a. un atto di citazione davanti al Tribunale di Oristano, nel quale si concludeva per la condanna in solido dei convenuti al risarcimento dei danni;
~          dal 27 aprile 1998, a seguito dell'improvvisa rinuncia al mandato da parte dell'avv. *, peraltro mai comparso in udienza, l'intera attività difensiva era stata esercitata dall'avv. *;
~          già in data 20 aprile 1998 la *, nel confermare loro che l'avv. *, intendeva rinunciare al mandato "per sopraggiunti problemi di salute”, li aveva informati di "aver già provveduto a prendere gli opportuni contatti finalizzati alla sostituzione";
~          nella stessa occasione, peraltro, la * aveva precisato che l'atto di sostituzione costituiva una pura formalità e non poteva pregiudicare né il corso dei giudizio, né le trattative per il risarcimento, in quanto sarebbe stato "sempre l'Ufficio legale * G.G.R.A. a coordinare tale azione", ed aveva comunicato a tal fine l'opportunità di conferirle una nuova procura;
~          il 28 aprile 1998, Remo e Massimiliano *, preso atto della esposta necessità di nominare un altro legale, avevano conferito una nuova procura alla *, confermando nel contempo la propria fiducia all'avv. *;
~          successivamente al conferimento della predetta procura, tuttavia, entrambi avevano maturato la decisione di revocare il mandato conferito alla *, ritenendosi insufficientemente tutelati da un mandatario che, di fatto, aveva esaurito la propria attività con il fallimento delle trattative stragiudiziali che, inopinatamente, aveva condotto anche dopo che era stata intrapresa l'azione giudiziaria;
~          la sfiducia manifestata con la revoca del mandato trovava giustificazione nell'operato della *, che sbandierava l'attività di un proprio ufficio legale di fatto inesistente;
~          tutte le comunicazioni inviate, singolarmente, erano state sottoscritte con firma sempre rigorosamente illeggibile, da persona incerta e innominata, ed i legali segnalati, l'avv. * e * non facevano parte dell’ufficio legale *;
~          la *, inoltre, aveva portato avanti delle trattative stragiudiziali di gran lunga meno convenienti rispetto alle proposte avanzate dalla * s.p.a. all'avv. *, proponendo l'accettazione di una proposta di transazione che prevedeva un risarcimento di lire 220.000.000, con addebito di lire 62.236.529 di spese, mentre l'* s.p.a. aveva proposto, tramite l'avv. *, una transazione per lire 300.000.000;
~          il 28 maggio 1998, ritenendosi insufficientemente tutelati dalla *, avevano revocato il mandato conferito in data 22 febbraio 1997, ed il successivo 26 maggio 1998, avevano revocato la procura conferita in data 24 aprile 1998, confermando viceversa la propria fiducia all'avv. *;
~          il 16 giugno 1998 la *, preso atto della revoca del mandato, aveva però comunicato che in data 27 maggio 1998, il giorno prima della revoca, l'* s.p.a. aveva proposto di transigere la controversia pendente per la somma di lire 220.000.000 e che, pertanto, l'incarico conferitole doveva considerarsi eseguito;
~          l'esecuzione del mandato costituiva pertanto titolo idoneo a pretendere, secondo quanto convenuto, la somma di lire 62.236.529, di cui lire 52.800.00 i.v.a. compresa quale compenso per l'attività svolta e lire 7.865.529 per spese legali, oltre interessi sulle spese anticipate per lire 1.571.000;
~          la revoca, tuttavia, era intervenuta prima che l'* ass.ni s.p.a. avesse proposto la transazione, e in ogni caso l'incarico di mandato avrebbe potuto dirsi eseguito solo con la conclusione della transazione;
~          l’accordo di mandato violava l'art. 2333 c.c., che vietava il patto di quote lite, norma che non poteva non estendersi analogicamente a chi svolgeva una prestazione professionale consistente nel patrocinio legale;
~          singolare era il fatto che la * avesse rivendicato l'esecuzione dell'incarico facendo riferimento ad una proposta di transazione che la società, tuttavia, aveva dimenticato di comunicare tempestivamente ai mandanti ed all’avv. *, ignaro delle trattative parallele condotte;
~          nel dicembre del 1998 l'* s.p.a., per il tramite dell'avv. *, aveva proposto di transigere la controversia pendente per la somma di lire 300.000.000;
~          a seguito della lettera raccomandata 9 dicembre 1998, con cui avevano sollecitato il rendiconto delle spese, la * aveva reiterato le proprie ingiustificate richieste di compenso;
~          il 13 maggio 1999, Remo e Massimiliano *, unici sottoscrittori del contratto di mandato, avevano riconosciuto la somma di lire 5.500.000 a titolo di rimborso spese.
Gli attori hanno quindi domandato che fosse accertata l’inesistenza dei crediti vantati a titolo di compenso, per la nullità del patto e, comunque, per l’intervenuta revoca, e con riguardo alle spese non documentate, ed in ogni caso l’inesistenza di qualsiasi credito della convenuta nei confronti di Susanna e Simona *.
Gli attori, in via subordinata, hanno in ogni caso domandato che l’eventuale compenso dovuto da Remo e Massimiliano * alla * fosse determinato equitativamente.
La *, in cui si era trasformata la *, si è costituita in giudizio a seguito della regolare notifica dell'atto introduttivo, contestando la domanda e chiedendone il rigetto.
La società, pregiudizialmente, ha eccepito la litispendenza, affermando che, con atto di citazione notificato in dato 15 maggio 1999, aveva convenuto in giudizio gli attori davanti al Tribunale di Cagliari, al fine di ottenere l’accertamento dell'inefficacia della revoca del mandato, ovvero, in subordine, dell'assenza di una giusta causa di revoca, con conseguente condanna al pagamento in suo favore della somma di lire 60.665.529, o di quella maggiore o minore in ogni caso dovutale.
La società, nel merito, ha sostenuto che gli eredi * e, precisamente, Remo, Simona e Massimiliano, le avevano conferito un ampio mandato per compiere l'attività necessaria ad ottenere il risarcimento del danno.
Le condizioni contrattuali prevedevano, tra l'altro, un compenso pari ad una percentuale del 20% sulle somme ottenute a titolo di risarcimento, una volta liquidate, e l'anticipazione di spese per la gestione del sinistro, con obbligo di rimborso e carico dei mandanti ad avvenuta liquidazione o, per il caso di revoca del mandato, ad avvenuta revoca.
Nell'intera gestione del sinistro aveva svolto il ruolo fondamentale di istruzione, coordinamento e trattazione diretta, assumendo il ruolo di unico interlocutore cui gli stessi difensori inviavano aggiornamenti sulla pratica e parcelle, concordando il da farsi.
Il 30 marzo 1998 la * aveva inviato una comunicazione a Remo *, informandolo della trattativa con la compagnia assicurativa tesa ad ottenere una quietanza di lire 300.000.000 circa, per poi richiedere nel corso del giudizio pendente l'applicazione dell'art. 186 bis c.p.c., al fine di ottenere tele somma quale credito non contestato.
La *, il 21 aprile 1998, nel perseguire tale precisa strategia, aveva ottenuto un atto di quietanza da parte della * s.p.a. per lire 220.000.000.
In data 23 aprile 1998 l'avv. * aveva comunicato la propria intenzione di rinunciare al mandato per la causa pendente davanti al Tribunale di Oristano, così che il giorno successivo Remo e Massimiliano * avevano conferito una procura speciale affinché in loro nome e conto, fosse nominato un legale.
*, rappresentante legale della società, in virtù della procura speciale, aveva conferito procura alle liti all’avv. *, con studio in Latina, *.
Mentre in sede stragiudiziale si riusciva ad ottenere il riconoscimento di un importo pari a lire 220.000.000 in favore dei mandanti, nonostante la difficoltà della pratica, era sopraggiunta del tutto inattesa la revoca del mandato da parte di Remo *, anche per conto dei figli, con lettera raccomandata del 28 maggio 1998, ed una successiva revoca con un atto fatto notificare a mezzo ufficiale giudiziario da parte di due degli iniziali mandanti, Remo e Massimiliano *.
Una richiesta della *, intesa a chiarire anche la posizione di Simona *, non aveva ottenuto risposta.
Le revoche mancavano di giusta causa e quella di Remo * era inefficace, secondo quanto previsto dall'art. 1726 c.c., dovendosi considerare come cumulativo il mandato conferito ab initio dall'intero nucleo familiare.
La revoca del mandato aveva provocato alla * danni che, ai sensi dell'art. 1233 c.c., coincidevano, in primo luogo, con il mancato incasso delle provvigioni stabilite per il compimento dell'affare, somma che, in ragione dell'offerta, era almeno pari a lire 44.000.000 più i.v.a.
Sussisteva inoltre l’obbligo del mandante di tenerla indenne delle spese sostenute, quantificate in lire 7.865.529.
La società convenuta ha pertanto domandato che, pronunciata con sentenza la litispendenza, le richieste formulate dagli attori fossero rigettate.
Il Giudice, con ordinanza 15 ottobre 1999, ha disposto la riunione del procedimento pendente, nel quale la società aveva domandato l’accertamento dell’inefficacia della revoca della procura da parte di Remo *, ai sensi dell'art. 1726 c.c., e della vigenza del rapporto di mandato, ovvero, in via subordinata, l’accertamento della revoca della procura senza giusta causa, con condanna di Remo, Massimiliano e Simona * al risarcimento dei danni, con gli interessi legali e la rivalutazione monetaria.
Il Giudice, ritenuto che la causa fosse matura per la decisione senza bisogno di assunzione di mezzi di prova, ha invitato le parti a precisare le rispettive conclusioni.
La causa è stata istruita con produzioni documentali, ed è stata quindi tenuta a decisione sulle conclusioni trascritte.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Deve essere ritenuta, in limine, la nullità degli accordi contrattuali per cui è causa.
Con il contratto concluso il 22 febbraio 1997, Remo *, “in qualità di erede” di Paolo *, deceduto nel sinistro del 4 agosto 1996, ha conferito alla società convenuta il “mandato di compiere in nome e per conto del sottoscritto l'attività necessaria ad ottenere il risarcimento del danno relativo al suindicato sinistro nei confronti della * Assicurazioni s.p.a., ...conferendo ogni ampia facoltà, compresa quella di transigere, richiedere atti, verbali e certificati, con facoltà di nominare avvocati e procuratori legali”, ed eleggendo domicilio presso la sede legale della stessa mandataria.
Remo *, contemporaneamente, si è impegnato a corrispondere alla * -Gestione grandi risarcimenti assicurativi s.n.c. “una percentuale pari al 20% sulle somme percepite a titolo di competenze ad avvenuta liquidazione del sinistro”, indipendentemente dal fatto che questa avvenisse in fase stragiudiziale o giudiziale, ed a prescindere dalla circostanza che si ottenesse una liquidazione soltanto parziale del danno.
Lo stesso, infine, si è obbligato a rimborsare, “ad avvenuta liquidazione parziale o totale del sinistro” le spese sostenute nella “gestione della pratica” dalla mandataria, che si era impegnata contestualmente ad anticiparle.
2. Accordi del tutto simili sono stati conclusi, di seguito, con la sottoscrizione del contratto del 22 settembre 1997, con il quale Remo, Simona e Massimiliano * hanno conferito mandato alla * Gestione grandi risarcimenti assicurativi s.n.c. “di compiere ogni attività e l'assistenza necessaria oltre ad ogni adempimento finalizzato allo scopo di ottenere il risarcimento del danno... nei confronti del danneggiante sig. * e della società di assicurazione * s.p.a.”, specificando, tra i poteri conferiti, quelli di “transigere, quietanzare, richiedere atti e verbali alle pubbliche autorità, con facoltà di utilizzare esperti nel ramo tecnico assicurativo e legale, nominare medici legali” e quanto altro comunque fosse stato necessario “per il buon fine della pratica con promessa di rato e valido”.
In gran parte analoghe sono state, inoltre, le pattuizioni circa il corrispettivo spettante, pari al venti per cento di quanto ottenuto dagli interessati a titolo di danni, ed in merito al rimborso delle spese anticipate dalla mandataria, che peraltro non avrebbero dovuto superare il cinque per cento del risarcimento e che avrebbero dovuto essere rifuse anche “in caso di revoca del mandato”.
3. I contratti devono essere considerati invalidi in quanto aventi come oggetto, nel complesso, lo svolgimento di un’attività riservata alla professione forense, e tuttavia non stipulati con un professionista legalmente esercente.
Con le due scritture private, infatti, si è inteso assicurare lo svolgimento di un incarico che, nella sostanza, è di vera e propria assistenza e consulenza legale, in quanto, da un lato, conferito in vista della tutela di un diritto non spontaneamente soddisfatto, e, dall’altro, voluto con l’attribuzione di compiti di varia natura che tuttavia, per il loro compimento, avrebbero implicato necessariamente opzioni e apprezzamenti caratteristici della professione di avvocato.
Si considerino, tra le attività normalmente prevedibili e, in concreto, nel caso di specie svolte:
-            le richieste di risarcimento, da farsi al fine di porre in essere la condizione di procedibilità ai sensi dell'art. 22 l. 24 dicembre 1969, n. 990 (si veda la lettera 26 febbraio 1997, inviata dalla * alla società assicuratrice);
-            le valutazione di tipo squisitamente professionale da farsi, necessariamente, sulla contesa (si veda il preavviso di parcella 10 giugno 1998, intestato “Studio legale avv. * avv. *”);
-            le scelte da fare nella controversia pendente (si veda la lettera 30 marzo 1998, in cui si leggono le seguenti considerazioni, per inciso, quanto meno opinabili: “stiamo concludendo le trattative con la compagnia assicurativa per ottenere una quietanza per un importo pari a lire 300.000.000... La compagnia assicurativa intenderebbe riconoscere tale somma a totale soddisfo del danno, ma noi attiveremo la procedura che ci consente di chiedere, nel corso del giudizio, l’applicazione dell’art. 186 bis c.p.c., per ottenere dal giudice tale somma quale credito non contestato”).
4. La professione di avvocato, nel sistema legislativo interno, come anche nella gran parte degli stati membri dell’Unione europea, è un’attività vincolata per quanto attiene i requisiti soggettivi, le modalità di esercizio e lo stesso assoggettamento ad una vigilanza pubblicistica, secondo diversi principi fissati sin dall’entrata in vigore della l. 22 gennaio 1934, n. 36 (Conversione in legge, con modificazioni, del Regio decreto-legge 27 novembre 1933, n. 1578, riguardante l'ordinamento delle professioni di avvocato e di procuratore).
L’attività professionale, in particolare, presuppone controlli e verifiche dei requisiti di professionalità, essendone subordinato l’accesso al superamento di esami di abilitazione ed all’iscrizione in un albo professionale, e se attribuisce significative guarentigie in funzione del ruolo svolto, si connota anche per un’attenta definizione del quadro degli obblighi a carico di chi la esercita, da assolversi davanti agli organi giudiziari, nei confronti dei clienti assistiti e persino delle loro controparti.
La normativa in materia, contestualmente, mette insieme ai vincoli ed agli obblighi menzionati un articolato sistema di sanzioni di carattere disciplinare e pubblicistico (queste ultime, sia amministrative sia penali), e si estende fino a segnare con precisione gli stessi costi economici dell’attività per gli utenti fissando, attraverso il sistema delle tariffe, la misura dei diritti e degli onorari per l’attività stessa, sia stata questa di carattere giudiziale ovvero stragiudiziale.
E’ indubitabile che, in tale impianto, la professione forense assume i caratteri della professione riservata non soltanto, come è ovvio -fatte salve le ipotesi eccezionali espressamente disciplinate-, in relazione all’attività di rappresentanza e difesa posta in essere davanti all’autorità giudiziaria, ma anche, e più in generale, alla prestazione non occasionale della consulenza legale e dell’assistenza giuridica, che può di volta in volta essere opportuna in funzione della tutela di diritti e di interessi e per le quali, egualmente, è richiesta un’elevata qualificazione.
E’ noto che, in materia, si ricorre sovente alla distinzione tra atti “tipici” (o “propri”), il cui compimento sarebbe riservato ai soli soggetti abilitati, ed atti “relativamente liberi”, i quali, pur essendo caratteristici della professione, possono tuttavia essere compiuti, ma soltanto singolarmente, occasionalmente e gratuitamente, in luogo dell’interessato, anche da soggetti non abilitati.
In tema di abusivo esercizio di una professione, fattispecie delittuosa disciplinata dall’art. 348 c.p., si è ad esempio ritenuto sussistente il reato nel compimento anche di un solo atto del primo tipo, e, con riguardo agli atti del secondo tipo, qualora essi siano compiuti abitualmente in modo continuativo, sistematico ed organizzato e verso un corrispettivo (così Cass. pen., Sez. VI, 8 ottobre 2002, n. 49; diversamente, e comunque ravvisando gli estremi della condotta penalmente rilevante in caso di reiterazione di “atti relativamente liberi”, come anche di loro riconducibilità ad un’attività organizzata, Cass. pen., Sez. VI, 15 aprile 2003, n. 17921).
5. La prestazione oggetto degli accordi negoziali deve pertanto ritenersi vietata alla * e, in generale, a soggetti diversi dagli avvocati legalmente esercenti, in quanto iscritti negli albi professionali.
E’ sufficiente evidenziare che l’attività contrattualmente dedotta, appunto la “gestione” della contesa e, successivamente, della possibile controversia giudiziaria, non rappresenta certo una semplice sommatoria di atti singolarmente determinati, ma si concretizza in una vera e propria attività coordinata e durevole di assistenza giuridica e legale che comporta di necessità scelte e valutazioni di carattere eminentemente tecnico, caratteristiche della professione di avvocato.
La prestazione promessa è cioè, di per sé, quella di un’assistenza di tipo professionale, la quale dovrebbe essere svolta già nella singola “pratica” in modo sicuramente stabile, vale a dire, con una pluralità di prestazioni da porre in essere, continuativamente nel tempo, in vista dell’ottenimento della soluzione della controversia, e non semplicemente con il mero rimborso delle eventuali spese anticipate ma contro un vero e proprio corrispettivo in denaro.
La stessa * ha considerato i propri obblighi in tal senso, tanto da far presente, dopo la revoca dei “mandati”, le caratteristiche dell’attività svolta, indicando che la stessa aveva “comportato... spese e impegno notevoli”, anche per la “raccolta della documentazione necessaria”, una “intensa attività stragiudiziale finalizzata al buon esito della trattativa direttamente con la compagnia assicurativa” e, nell’insieme, “un’intensa attività di coordinamento stragiudiziale e giudiziale” (si veda in proposito la lettera 10 giugno 1998, inviata agli attori dalla *).
È necessario mettere inoltre in rilievo che, in situazioni come quella in discussione, il singolo contratto non rappresenta certo, per chi è tenuto a porre in essere l’attività di assistenza, una prestazione di natura isolata, ma, ancora una volta in aperto contrasto con le disposizioni inderogabili vigenti, un affare posto in essere nell’esercizio di un’attività economica organizzata di tipo imprenditoriale (art. 2082 c.c.), ed anzi, trattandosi di società commerciale, che s’inserisce nell’ambito di un’attività economica con finalità di lucro, perché svolta allo scopo della divisione degli utili (artt. 2247 ss. c.c.).
6. Non può ritenersi, d’altra parte, che sia individuabile nell’ordinamento un principio incondizionato di libertà di assistenza e consulenza legale stragiudiziale, in generale e, in specie, nella cosiddetta materia della “infortunistica stradale”.
Con riferimento al principio costituzionale della libertà d’iniziativa economica, si è comunemente osservato che spetta al legislatore ordinario l'individuazione delle competenze e delle attribuzioni di ciascuna categoria professionale, ai cui iscritti possono ben essere riservate prestazioni che richiedono una specifica abilitazione professionale.
Tale possibilità si ricollega, essenzialmente, alla necessaria valutazione delle specifiche capacità che, di volta in volta, possono essere richieste per l'esercizio delle attività intellettuali rivolte al pubblico, al fine di assicurare un adeguato livello di preparazione nelle materie che sono inerenti alle attività medesime.
L’esercizio non titolato di una professione protetta come quella dell’avvocatura non lede, infatti, come è noto, solo gli interessi circostanziati e diffusi degli appartenenti alla categoria forense, ma pregiudica soprattutto l'interesse pubblico a che la professione stessa sia esercitata da soggetti abilitati, e, più concretamente, gli interessi di coloro che di volta in volta si trovano nella necessità di ricorrere, per la tutela dei propri diritti ed interessi, all’attività professionale.
La limitazione del suo esercizio, e la sua sottrazione all’iniziativa imprenditoriale, può conseguentemente essere stabilita dal legislatore ordinario per assicurare al cittadino e, conseguentemente, al sistema nel suo complesso, adeguate garanzie di attitudine e qualità, di correttezza, di imparzialità e di responsabilità.
Lo svolgimento indiscriminato di una professione protetta da parte di soggetti non iscritti, ed addirittura non iscrivibili, in un determinato albo professionale, è di per sé fonte di grave pericolo, solo che si valuti l’assenza totale delle garanzie di affidabilità riconducibili al complesso delle protezioni normalmente operanti per gli appartenenti alla categoria, senza tutele reali di fronte a possibili condotte indecorose e, in taluni casi, illecite.
Può sottolinearsi che tali rischi sono ancor più inaccettabili solo che si valuti che l’inadeguatezza dell’assistenza rischia inevitabilmente di tradursi, ogni volta, in una mancata effettiva tutela del diritto leso, che sarebbe già rilevabile, con riferimento ai danni da sinistro stradale, nella sola liquidazione inadeguata del danno alla persona.
Esclusivamente al di fuori delle professioni intellettuale riservate e per tutte le altre prestazioni di assistenza o di consulenza, quindi, può ritenersi vigente il principio generale di libertà di lavoro autonomo o di libertà di impresa di servizi.
7. Non può ragionevolmente sostenersi, d’altra parte, che la “gestione di una pratica” riguardante, come si è detto, la tutela di un credito risarcitorio non riconosciuto e soddisfatto spontaneamente dagli obbligati, e che si concretizza sicuramente nel compimento di una pluralità di atti, indeterminati ex ante, i quali però, singolarmente considerati, potrebbero essere compiuti dallo stesso assistito, e, pertanto, da soggetti non appartenenti all’ordine professionale, possa essere per questa sola ragione valutata alla stregua di una comune attività gestoria, in quanto tale suscettibile di essere posta in essere, come un ordinario mandato, da chiunque e, ancor più, nell’ambito di un’attività di tipo imprenditoriale e non di un rapporto di prestazione d’opera intellettuale.
La distinzione tra l’assistenza professionale nella tutela dei diritti in sede stragiudiziale e le altre ipotesi di cooperazione gestoria, sotto il profilo dei contenuti, non è ravvisabile in relazione all’astratta natura degli atti che l’incaricato può essere chiamato a compiere, trattandosi in generale del compimento di “uno o più atti giuridici”, come anche di diverso tipo, per conto e, eventualmente, in nome dell’interessato.
La distinzione, invece, deve essere individuata, da un lato, nella funzione, e, dall’altro, nella riconducibilità o meno dell’attività dell’agente, nel suo complesso, al dominio della prestazione d’opera intellettuale riservata, e, di conseguenza, al peculiare atteggiarsi dell’obbligazione di mezzi assunta verso l’assistito.
Il mandatario, ad esempio, è tenuto a compiere la propria attività conformemente ai canoni di diligenza di cui all'art. 1710 c.c. (che rinvia alla diligenza del buon padre di famiglia), mentre l’assunzione di un incarico di assistenza stragiudiziale in una controversia comporta necessariamente, ai sensi dell'art. 1176, secondo comma, c.c., un adempimento con la diligenza specifica del debitore qualificato, la quale implica il rispetto di tutte le regole e gli accorgimenti che, nel loro insieme, possono considerarsi rientranti nella conoscenza della professione forense, anche prima ed al di fuori della tutela nel processo.
In definitiva, anche per queste ragioni, il compimento di atti stragiudiziali di tutela del diritto e la consulenza giuridica sono consentiti, al di fuori del mandato di assistenza legale, solo qualora si tratti di attività occasionale e non durevoli, e, quindi, al di fuori della assistenza professionale legale.
8. Con riferimento alla rilevata invalidità, è necessario richiamare il disposto dell'art. 2231 c.c., da cui può trarsi che dia luogo a nullità assoluta del rapporto, rilevabile anche d'ufficio, l'esecuzione di una prestazione d'opera professionale di natura intellettuale effettuata da chi non sia iscritto nell'apposito albo previsto dalla legge.
La nullità, privando il contratto di qualsiasi effetto, non attribuisce infatti al prestatore dell’opera l’azione per il pagamento del compenso (Cass. civ., Sez. II, 16 gennaio 1996, n. 305; Cass. civ., Sez. II, 2 dicembre 1993, n. 11947; Cass. civ., 22 giugno 1982, n. 3794).
E' inoltre nullo, per l'inosservanza degli art. 2229 e 2231 c.c., il contratto stipulato con una società ogni qual volta, come nel caso in esame, si tratti di professionalità protetta, materia in cui è inderogabile il principio della personalità dell'esercizio e dell'incarico (Cass. civ., Sez. II, 26 gennaio 1996, n. 590, sia pure con riferimento a diversa professione intellettuale).
Il prestatore, oltre a non aver diritto al compenso (che se corrisposto può essere ripetuto, come indebito oggettivo, secondo la previsione di cui all’art. 2033 c.c.), non può neppure far ricorso utilmente all'azione generale di arricchimento senza causa prevista dall’art. 2041 c.c. (Cass. civ., Sez. I, 5 luglio 1997, n. 6057; Cass. civ., 13 gennaio 1984, n. 286; Cass. civ., 22 giugno 1982, n. 3794).
9. Quanto sin qui evidenziato rende superfluo l’esame del profilo di invalidità eccepito dagli attori, secondo i quali l’accordo sarebbe stato nullo, con riferimento alla determinazione del compenso, in quanto formatosi in violazione del c.d. divieto del patto di quota lite.
L’art. 2033, terzo comma, c.c., in materia di compenso spettante al professionista intellettuale, stabilisce com’è noto che “gli avvocati, i procuratori e i patrocinatori non possono, neppure per interposta persona, stipulare con i loro clienti alcun patto relativo ai beni che formano oggetto delle controversie affidate al loro patrocinio, sotto pena di nullità e dei danni”.
La disciplina trova il suo fondamento nell'esigenza di assoggettare a disciplina il contenuto patrimoniale di un peculiare rapporto di opera intellettuale, al fine di tutelare contemporaneamente l'interesse del cliente e la dignità e la moralità della professione forense, che risulterebbe pregiudicata tutte le volte in cui, nella convenzione concernente il compenso, fosse, comunque, ravvisabile la partecipazione del professionista agli interessi economici finali ed esterni alla prestazione, giudiziale o stragiudiziale, richiestagli.
Il divieto, inoltre, è volto a preservare il sistema di tutela effettiva dei diritti e la funzione giurisdizionale, suscettibili di essere notevolmente pregiudicati da una difesa che possa essere viziata o, se non altro, significativamente condizionata dalla partecipazione del professionista alle utilità ritraibili dall’attività, da svolgersi istituzionalmente nell’interesse esclusivo dell’assistito.
Il patto è vietato, conseguentemente, non soltanto nell’ipotesi in cui il compenso del legale consista in parte dei beni o dei crediti litigiosi, secondo l'espressa previsione della norma, ma anche qualora tale compenso sia stato, comunque, convenzionalmente correlato al risultato pratico dell'attività svolta, realizzandosi, così, quella non consentita partecipazione del professionista agli interessi pratici esterni della prestazione (in questi termini, Cass. civ., Sez. II, 19 novembre 1997, n. 11485).
E’ stato infatti sottolineato che la previsione legale, in relazione alla ratio della tutela, contiene soltanto la tipizzazione dell'ipotesi di massimo coinvolgimento del legale e, pertanto, non è capace di limitare la portata del divieto.
Con riferimento all’ambito soggettivo della previsione, è indubbio che la disciplina è diretta ad incidere, in senso limitativo, sull’autonomia negoziale che può normalmente riconoscersi nella regolamentazione del rapporto tra cliente e professionista abilitato, sia nell’assistenza giudiziale che in quella stragiudiziale.
E’ pertanto contrario al divieto del c.d. "patto di quota lite", ed assume senza alcun dubbio i contorni dell’illecito disciplinare, il comportamento dell'avvocato il quale concordi il compenso in una percentuale sui risultati utili derivanti dagli affari e dalle pratiche di risarcimento affidatigli, a nulla rilevando che tale accordo sia stato attuato mediante la consegna di una dichiarazione scritta di carattere formalmente unilaterale, rilasciata dal cliente all'avvocato in occasione del conferimento dell’incarico professionale, come anche, per quanto maggiormente interessa in questa sede, che l’accordo sia stato concluso con un semplice intermediario del professionista ovvero messo in atto attraverso un'interposizione di persona quale, ad esempio, un’associazione sindacale.
Questione differente è quella, invece, della possibile estensione dell’ambito di applicazione dell’art. 2233, terzo comma, c.c., nella sua portata limitativa, ai rapporti negoziali tra danneggiato che intenda ottenere il soddisfacimento del proprio credito risarcitorio -contestato o, comunque, non tempestivamente soddisfatto-, e soggetti che, di volta in volta, assumono formalmente la veste di intermediari, mediatori, negoziatori o, come nell’ipotesi in esame, di “mandatari” ma che, nella realtà, svolgono un’attività di assistenza legale stragiudiziale.
Qualora, infatti, non si ritenesse l’invalidità del contratto nella sua interezza, per la richiamata violazione della riserva all’avvocatura dell’attività professionale di assistenza e tutela legale, la soluzione del problema interpretativo non potrebbe prescindere dal rilievo delle già richiamate finalità della tutela, che inducono a ritenere che il patto non sia proibito soltanto in funzione degli interessi della categoria professionale di appartenenza, ma anche, come si è detto, in funzione di interessi differenti.
Si è sottolineata, in precedenza, l’esigenza di salvaguardia del cliente, inteso come soggetto debole che si trovi nella necessità di procedere in via stragiudiziale e, di seguito, giudiziale per la tutela di un proprio diritto contrastato o, in ogni caso, non spontaneamente rispettato, ed è stato messo in rilievo, più in generale, in tali frangenti, l’interesse a limitare il coinvolgimento economico di avvocati, procuratori e, in genere, patrocinatori, pur iscritti in albi ed assoggettati a regole di condotta particolarmente stringenti.
Tali interessi, indiscutibilmente ed a fortiori, sussisterebbero qualora dovesse ritenersi concepibile un’assistenza legale in una contesa stragiudiziale da parte di soggetti estranei all’ordinamento forense, tanto più nell’ipotesi in cui, come nel caso di specie, si tratti di imprenditori commerciali.
In una simile prospettiva, pertanto, non potrebbe non essere sollevato, per un verso, il problema della legittimità costituzionale della disciplina di cui all’art. 2233, terzo comma, c.c., nella parte in cui, in termini almeno apparentemente univoci, sembra limitare la portata soggettiva del divieto, indicandone come destinatari soltanto “gli avvocati, i procuratori e i patrocinatori”.
Sotto altro aspetto, e soprattutto di fronte a convenzioni potenzialmente “leonine”, quali potrebbero essere valutate pattuizioni che, similmente a quanto avvenuto, attribuissero il diritto ad un compenso pari ad una quota particolarmente elevata dell’utilità assicurata al cliente, non potrebbe non porsi il problema della legittimità di tali determinazioni negoziali libere, di fronte ad un sistema parallelo di determinazione dei compensi spettanti agli stessi avvocati che, viceversa, prevede remunerazioni limitate nel quantum e, soprattutto, con liquidazioni rigorosamente ancorate, di volta in volta, al valore ed alla natura della pratica, al numero ed all'importanza delle questioni trattate, al pregio dell'opera da prestare, ai risultati ed ai vantaggi, anche non economici e morali, conseguiti dal cliente, alle attività, più in generale, effettivamente occorse e svolte.
Si segnala, d’altra parte, la previsione secondo cui, in materia stragiudiziale, qualora tra la prestazione e l’onorario dell’avvocato previsto vi sia una manifesta sproporzione, i massimi ed i minimi stabiliti dalla tabella possono essere rispettivamente superati o diminuiti.
10. Le considerazioni sin qui svolte rendono non necessario l’esame delle ulteriori domande, in quanto si tratta di domande formulate, tutte, sul presupposto della conclusione di un valido rapporto negoziale.
11. La *, in considerazione del criterio della soccombenza, deve essere condannata, ai sensi dell'art. 91 c.p.c., alla rifusione in favore degli attori, delle spese processuali, che si liquidano come in dispositivo.
Il fondamento della responsabilità per le spese processuali non deve infatti collegarsi all'esito finale della lite come fatto oggettivo, ma con riferimento al nesso causale tra la lite ed il comportamento antigiuridico della parte risultata soccombente, cui deve sostanzialmente imputarsi la responsabilità di aver reso necessario il processo, avendo lasciato insoddisfatta una pretesa riconosciuta fondata o, viceversa, avendone fatto valere una risultata infondata.
La sentenza è provvisoriamente esecutiva tra le parti, ai sensi dell'art. 282 c.p.c.

P.Q.M.

Il Tribunale, definitivamente pronunciando, disattesa ogni contraria istanza, eccezione e deduzione,
1.      dichiara la nullità dei contratti per cui è causa;
2.      condanna la * alla rifusione in favore degli attori delle spese processuali, che liquida in complessivi euro 7.200,65, di cui euro 1.310,67 per diritti di procuratore ed euro 4.912,28 per onorari di avvocato.
Cagliari, 10 giugno 2003.
Il Giudice, Dott. Vincenzo Amato
Depositata in data 10 giugno 2004

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