Penale

PENALE - Interferenze illecite nella vita privata e querela.

Cassazione penale, Sez. V, 13.01/25.02.2011, n° 7430

Il delitto di interferenze illecite nell'altrui vita privata (art. 615-bis C.P.) è procedibile a querela della persona offesa, a meno che ricorra uno dei fatti idonei a renderlo procedibile d'ufficio (cfr. il comma 3, se il reato è commesso da un pubblico ufficiale o da un incaricato di pubblico servizio, con abuso dei poteri o con violazione dei doveri inerenti alla funzione o servizio, o da chi esercita anche abusivamente la professione di investigatore privato).
Se nella sentenza difetta il riferimento all'avvenuta rituale proposizione della querela e ai fatti che comporterebbero la trasformazione della procedibilità,

la sentenza della Corte d'Appello (che, nel caso di specie aveva così qualificato il fatto contestato in primo grado quale reato di trattamento illecito dei dati personali) va annullata senza rinvio, perché l'azione penale non avrebbe dovuto essere iniziata per mancanza di querela. 

Cassazione penale, Sez. V, 13.01/25.02.2011, n° 7430

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CALABRESE Renato Luigi, Presidente
Dott. OLDI Paolo, Consigliere
Dott. SANDRELLI Gian Giacomo, Consigliere
Dott. FUMO Maurizio, Consigliere
Dott. SABEONE Gerardo, rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da: 1) T.F., n. il (omissis); avverso  la  sentenza n° 10787/2007 della Corte d'Appello di Torino,  del 20.10.2009; visti gli atti, la sentenza e il ricorso; udita in pubblica udienza del 13.01.2011 la relazione  fatta  dal Consigliere Dott. Gerardo Sabeone; Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. V. Monetti, che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di Appello di Torino, con la sentenza del 20 ottobre 2009, ha riformato la sentenza del Tribunale di Torino del 9 novembre 2006 ed ha riqualificato l'originario reato di cui alla L. n. 675 del 1996, art. 35 e cioè il trattamento di dati personali in violazione delle norme di legge come illecita interferenza nella vita privata altrui, di cui all'art. 615 bis c.p., ascritto all'imputato T.F. condannandolo però alla medesima pena di mesi sei di reclusione ed al risarcimento dei danni alle costituite parte civili.
2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l'imputato, a mezzo del suo difensore, lamentando: a) l'inosservanza di norme processuali, ex art. 606 c.p.p., lett. e), con riferimento all'erronea applicazione dell'art. 597 c.p.p. avendo la Corte condannato per un fatto diverso da quello contestato in primo grado; b) la violazione di legge, ex art. 606 c.p.c., lett. b), con riferimento all'erronea qualificazione del fatto sotto la norma di cui all'art. 615 bis c.p.; c) la necessità di pronunciare, ai sensi dell'art. 129 c.p.p., una sentenza di non luogo a procedere avendo le parti offese rimesso la querela.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è parzialmente fondato.
2. Sicuramente infondato è, però, il primo motivo in quanto all'imputato risulta contestato il medesimo fatto di cui all'originaria imputazione mentre il Giudice dell'appello ha dato ad esso soltanto una diversa qualificazione giuridica.A tal proposito, le Sezioni Unite di questa Corte, anche di recente, hanno avuto modo di precisare che: "per aversi mutamento del fatto, occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l'ipotesi astratta prevista dalla legge, sì da pervenire ad un'incertezza sull'oggetto dell'imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa; ne consegue che l'indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perchè, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l'imputato, attraverso l'iter del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all'oggetto dell'imputazione" (v. Sez. Un. 15 luglio 2010 n. 36551). In fatto, questa volta, il ricorrente non ha affatto indicato quale concreta violazione del proprio diritto alla difesa abbia subito in conseguenza della diversa qualificazione giuridica di fatti sui quali aveva ben potuto contraddire e difendersi nella precedente fase di merito (v. pagina 5 della decisione impugnata).
3. Al contrario e al di là dell'accertamento sulla concreta esistenza dell'ascritto reato di cui all'art. 615 bis c.p., questa Corte non può esimersi dal notare, costituendo tale circostanza elemento impeditivo alla procedibilità stessa, come, per tale imputazione e sulla base della lettura dell'impugnata sentenza, non sia evidenziabile alcuna querela delle parti lese. La Corte territoriale ha, invero, erroneamente affermato, senza neppure indicare sulla base di quale disposizione normativa, che questa Corte non riesce neppure a individuare, la procedibilità d'ufficio per il reato di cui all'art. 348 c.p. ulteriormente ascritto all'imputato valesse a determinare la procedibilità d'ufficio anche per l'ulteriore reato di cui all'art. 615 bis c.p. Orbene, poiché tale ultimo reato è sicuramente procedibile a querela della persona offesa, non ricorrendo alcuno dei fatti idonei a trasformare tale procedibilità su istanza in procedibilità d'ufficio (art. 615 bis c.p., comma 3 reato commesso da "un pubblico ufficiale o da un incaricato di pubblico servizio, con abuso dei poteri o con violazione dei doveri inerenti alla funzione o servizio, o da chi esercita anche abusivamente la professione di investigatore privato ") e non essendovi menzione alcuna, nell'impugnata decisione, dell'avvenuta proposizione della querela ecco che s'impone l'annullamento senza rinvio della decisione stessa perché l'azione penale non avrebbe potuto essere iniziata per la mancanza di querela.
4. Non vi sono né sono stati aliunde evidenziati, in conclusione, validi motivi che impongano una rideterminazione della pena irrogata per il solo reato di esercizio abusivo di una professione e sulla quale non sono stati svolti specifici motivi di ricorso, avendo, peraltro, il Giudice dell'appello congruamente motivato sulla stessa a cagione della gravità dei fatti ascritti.

P.Q.M.

La Corte annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al reato di cui all'art. 615 bis c.p. perché l'azione penale non poteva essere iniziata per difetto di querela.
Così deciso in Roma, il 13 gennaio 2011.
Depositato in Cancelleria il 25 febbraio 2011

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