PENALE - Webcam, minori e induzione all'autoerotismo

minori e web

Nella nozione di atti sessuali penalmente perseguibili rientrano anche gli atti di masturbazione dinanzi alla webcam, posti in essere da un minorenne oggetto di adescamento telematico? L'autoerotismo tra soggetti non fisicamente presenti costituisce reato oppure, siccome il collegamento videoconferenziale via internet può essere interrotto in qualsiasi momento, bisogna ritenere che difetti la violenza che sarebbe elemento costitutivo della fattispecie?
La Cassazione, nel rigettare il ricorso di persona condannata per fatti di violenza sessuale verso minori, ha statuito che gli atti di masturbazione costituiscono atti sessuali e, inoltre, che è irrilevante che essi siano praticati dalla persona offesa su se stessa se ciò avviene per il soddisfacimento degli impulsi sessuali dell'autore del reato, che lo istighi mediante telecamera cui è connesso via internet:

nel caso di atti sessuali con minore infraquattordicenne, essi non sono caratterizzati dall'uso di violenza ed integrano la fattispecie di cui all'art. 609-quater, co. 1, n° 2), C.P. a prescindere dal fatto che, avendo il rapporto luogo per via telematica, non sarebbe stato possibile esercitare violenza.
La S.C. ha poi rimarcato, per altro verso, che gli atti sessuali nel delitto ex artt. 609-bis e segg. C.P. non necessitano di  contatto fisico tra vittima e aggressore, bastando che questi cerchi soddisfazione sessuale dall'assistere alla esecuzione di atti (ad esempio la di masturbazione di sé da parte della vittima, costretta con minacce o col timore derivante da precedenti violenze o approfittando dell'età del minore che non abbia ancora raggiunto un adeguato livello di maturità per accettare consapevolmente a richieste di prestazioni sessuali.
Gli abusi sessuali possono dunque venire commessi anche per via telematica, il che equivale alla compresenza fisica dei loro autori, come già sottolineato dalla stessa Cassazione, in riferimento per al differente caso dello sfruttamento della prostituzione.
Con pronuncia della Sez. III Pen. del 21.03./03.05.2006 n° 15158, infatti, la Corte di Cassazione aveva affrontato un caso di violazione dell'art. 3, co. 1, n° 8, della L. 20.02.1958 n° 75 scaturito dall'impugnazione avverso l'Ordinanza 23.12.2005 del Tribunale del Riesame di Udine, per un sequestro di materiale informatico originato da indagini avviate dalla Polizia Postale ai fini di prevenzione e repressione di reati commessi tramite web, a seguito delle quali era emerso che era possibile intrattenere via web-chat conversazioni con delle giovani che, a richiesta dell'interlocutore, si esibivano in atteggiamenti sessualmente espliciti e verso un corrispettivo rappresentato dal costo della chiamata. Il Riesame, nell'occorso, aveva accolto la tesi difensiva secondo cui il concetto di prostituzione, non espressamente definito dal legislatore, deve necessariamente collegarsi a un rapporto sessuale reale e non virtuale. La Cassazione invece, accolse il ricorso del P.M., annullò con rinvio l'Ordinanza impugnata e stabilì che non è determinante il contatto fisico tra il soggetto che si prostituisce e il fruitore della prestazione, mentre lo è quello della interazione, anche se virtuale o a distanza, tra l'operatrice e il cliente: talché, a nulla rilevando che chi si prostituisce e il fruitore della prestazione si trovino in luoghi diversi, diviene dirimente il fatto che sia possibile per questi interagire, in via diretta ed immediata, con chi esegue la prestazione, chiedendogli il compimento di determinati atti sessuali, che vengono effettivamente eseguiti e immediatamente percepiti da colui che chiede la prestazione sessuale a pagamento.
Il collegamento virtuale mediante internet, insomma, comporta una sanzione penale effettiva, se con la connessione telematica si verifica un caso di rapporto sessuale vietato da legge, perché afferente allo sfruttamento della prostituzione, piuttosto che all'induzione di un minore a compiere atti di masturbazione dinanzi alla webcam.

Cass. Pen. , Sez. III, Sent. 19.04/24.05.2011 n° 20521

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FERRUA Giuliana, Presidente
Dott. LOMBARDI Alfredo Maria, rel. Consigliere
Dott. FRANCO Amedeo, Consigliere
Dott. RAMACCI Luca, Consigliere
Dott. ROSI Elisabetta, Consigliere
ha pronunciato la seguente:

Sentenza

sul ricorso proposto da: Avv. Nicola Chirco, difensore di fiducia di M.S., nato il (omissis);
avverso la sentenza in data 16.02.10 della Corte d'Appello di Bologna, con la quale, a conferma di quella del G.I.P. del Tribunale di Bologna in data 09.01.09, venne condannato alla pena di anni otto di reclusione, oltre al risarcimento dei danni in favore delle parti civili, quale colpevole dei reati: 1) di cui all'art. 600-quater C.P.; 2) di cui agli artt. 81 cpv. e 609-bis C.P., art. 609-quater, co. 1, n° 2), C.P.; 3) di cui all'art. 81 cpv., art. 573, co. 1 e 2, C.P.; 4) di cui agli art. 81 cpv. e 610 e art. 61, n° 2), C.P.; 5) di cui agli artt. 81 cpv., 56-609-bis C.P.; 6) di cui agli artt. 81 cpv. e 609-bis C.P. e 609-ter, n° 1, C.P. unificati sotto il vincolo della continuazione.
Visti gli atti, la sentenza denunziata ed il ricorso;
Udita in pubblica udienza la relazione del Consigliere Dott. Alfredo Maria Lombardi;
Udito il P.M., in persona del Sost. Procuratore Generale Dott. Sante Spinaci, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
Udita per la parte civile (omissis) l'Avv. Cesarina Moritonna, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
Udito il difensore dell'imputato, Avv. Nicola Chirco, che ha concluso per l'accoglimento del ricorso.
Svolgimento del processo
Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Bologna ha confermato la dichiarazione di colpevolezza di M.S. in ordine ai reati:
1) di cui all'art. 600-quater C.P.; 2) di cui agli artt. 81 cpv. e 609-bis C.P., art. 609-quater, co. 1, n° 2), C.P.; 3) di cui all'art. 81 cpv., art. 573, co. 1 e 2, C.P.; 4) di cui agli art. 81 cpv. e 610 e art. 61, n° 2), C.P.; 5) di cui agli artt. 81 cpv., 56-609-bis C.P.; 6) di cui agli artt. 81 cpv. e 609-bis C.P. e 609-ter, n° 1, C.P., a lui ascritti per avere detenuto materiale pedopornografico, memorizzato nel suo computer personale e su altri supporti informatici (capo 1); avere costretto con violenza e minacce, nonché approfittando delle sue condizioni di inferiorità psichica ovvero del rapporto di affidamento, (omissis), minore degli anni sedici, a subire e compiere atti sessuali, quali masturbazioni reciproche, rapporti sessuali orali ed anali (capo 2); avere trattenuto in più occasioni il predetto minore nella propria abitazione contro la volontà dei genitori (capo 3);
avere costretto con minacce il minore (omissis) a non rivelare ai genitori, che da ultimo gli avevano proibito di incontrarlo, i rapporti di frequentazione e sessuali intrattenuti con il (omissis) (capo 4); avere compiuto atti idonei univocamente diretti a realizzare incontri sessuali con vari adolescenti (capo 5); avere, dopo un'attività di adescamento telematico, indotto (omissis), minore degli anni quattordici, a compiere atti di masturbazione dinanzi alla webcam, ai quali il M.S. assisteva tramite il collegamento telematico.
Il giudice di primo grado aveva inoltre emesso pronuncia di non doversi procedere per prescrizione nei confronti dell'imputato in ordine a fattispecie di abusi sessuali, concretatisi in atti di reciproca masturbazione, rapporti orali ed anali, nei confronti di (omissis), all'epoca minore degli anni quattordici. Fatti commessi negli anni (omissis).
In estrema sintesi, secondo la ricostruzione dei fatti riportata in sentenza, l'imputato aveva conosciuto il minorenne (omissis), di origine russa, adottato dalla famiglia (omissis), e i genitori di questi grazie alla comune frequentazione dell'ambiente parrocchiale, ove il M.S. si dedicava ad attività sociale e teneva lezioni di catechismo.
Inizialmente i genitori avevano anche affidato il minore all'imputato per finalità educative. Secondo l'ipotesi accusatoria, recepita in sentenza, il M.S., approfittando di tali frequentazioni, aveva costretto la parte lesa, all'epoca quindicenne, a subire e compiere i descritti atti sessuali con la minaccia di farlo ritornare in patria, ove era stato a lungo in orfanotrofio, millantando credito di potenti amicizie.
In un'occasione l'imputato aveva anche costretto con violenza il minore a restare nella sua abitazione, ponendosi contro la porta di ingresso.
È stato inoltre ravvisato dai giudici di merito l'abuso delle condizioni di inferiorità psichica della persona offesa, in considerazione della sua condizione di adottato di origine straniera e delle pregresse esperienze negative nella patria di origine.
Si è ravvisata, infine, l'ipotesi dell'affidamento del minore al M.S. per avere questi svolto il ruolo di padrino in occasione della cresima di (omissis).
La complessa vicenda ha avuto termine allorché il minore, rimproverato dai genitori per essere tornato tardi, ha narrato gli abusi sessuali subiti ad opera del M.S.
È stato, poi, accertato il possesso da parte dell'imputato di materiale pedopornografico; l'attività di adescamento di minori posta in essere tramite internet, spacciandosi per loro coetaneo; l'induzione del minore di quattordici anni (omissis) a masturbarsi dinanzi alla webcam in modo che il M.S. potesse vederlo tramite il suo computer. Una vicenda analoga di abusi sessuali a quella subita dal (omissis) veniva riferita agli organi di polizia giudiziaria da (omissis) anche se si trattava di fatti risalenti nel tempo ed ormai coperti da prescrizione.
La Corte territoriale ha rigettato i motivi di gravame con i quali l'appellante aveva dedotto la inattendibilità della persona offesa (omissis), sostenendo che i rapporti sessuali, che ammetteva esservi stati in due occasioni, erano avvenuti su iniziativa dello stesso minore; aveva chiesto, in subordine, la esclusione dell'aggravante di cui all'art. 609-quater C.P.;aveva dedotto che non è configurabile il reato di cui all'art. 573 C.P., essendo assorbito da quello di violenza sessuale per la contestualità di entrambe le fattispecie; aveva contestata la configurabilità del tentativo di violenza sessuale in relazione all'imputazione di cui al punto 5); aveva dedotto che la condotta posta in essere da (omissis) dinanzi alla webcam non può essere inquadrata nella fattispecie della violenza sessuale. Chiedeva, in subordine, la concessione delle attenuanti generiche e la riduzione della pena inflitta.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso il difensore dell'imputato, che la denuncia per violazione di legge e vizi di motivazione.
Motivi della decisione
Con i vari mezzi di annullamento il ricorrente sostanzialmente ripropone le questioni dedotte in sede di appello, denunciando:
- 1) Mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione della sentenza in ordine alla affermazione di colpevolezza per il reato di cui al capo 2).
Si osserva che i rapporti di conoscenza tra l'imputato e la famiglia (omissis) risalivano a vari anni prima che si verificassero i fatti di cui al processo, così come era risalente nel tempo l'affidamento del minore (omissis) al M.S. Da ultimo i (omissis) si erano opposti al fatto che il minore continuasse a frequentare l'imputato e si erano anche rivolti alla Procura della Repubblica, temendo che un troppo stretto legame tra i due potesse affievolire la loro posizione di genitori adottivi e non perché sospettassero l'esistenza di rapporti di natura sessuale tra il M.S. e il (omissis); rapporti che, malgrado le indagini della Procura, non erano emersi. Si deduce, quindi, che i giudici di merito non hanno tenuto conto del fatto che fu il (omissis) a voler riallacciare i rapporti con l'imputato e a recarsi a casa di questi spontaneamente, come emerso dalle dichiarazioni degli amici del ragazzo, che in varie occasioni lo avevano accompagnato davanti al portone di ingresso della abitazione del M.S., ove il minore si tratteneva per circa venti minuti. Si denuncia vizio di motivazione per avere la Corte territoriale attribuito attendibilità alle dichiarazioni del (omissis) circa la costrizione a subire gli atti sessuali, con particolare riferimento al primo episodio, in cui l'imputato gli avrebbe impedito di uscire dalla sua abitazione, malgrado la prova che egli si era recato e continuava a recarsi spontaneamente dal M.S. Si aggiunge che lo svelamento dei rapporti sessuali ha fatto seguito agli aspri rimproveri rivolti al (omissis) dai genitori, sicché la confessione del minore si palesa finalizzata ad evitare punizioni.
- 2) Violazione ed errata applicazione di legge, in relazione alla mancata esclusione dell'aggravante di cui all'art. 609-quater C.P.
Con il mezzo di annullamento si contesta la configurabilità dell'affidamento del minore al M.S., in relazione alle risultanze fattuali e si deduce che l'esclusione della aggravante comporta la riduzione della pena inflitta.
- 3) Violazione ed errata applicazione degli art. 573 e 610 C.P. e vizi di motivazione della sentenza. Con riferimento al reato di cui all'art. 573 C.P. si reiterano le deduzioni in ordine alla non configurabilità di tale fattispecie, allorché, come nel caso in esame, vi sia coincidenza tra il periodo di tempo in cui sarebbe stato commesso l'abuso sessuale e quello della sottrazione di minore.
Con riferimento al reato di cui all'art. 610 C.P. si ribadisce che il (omissis) si recava di sua spontanea volontà presso l'abitazione del M.S.
- 4) Illogicità e contraddittorietà della motivazione con riferimento alla imputazione di cui al capo 5).
Si deduce che era stata eccepita dinanzi alla Corte territoriale la genericità della contestazione contenuta nel citato capo di imputazione, in quanto non veniva descritta la condotta in cui si sarebbero concretati gli atti idonei alla commissione di abusi sessuali, né i soggetti che ne erano destinatari, in modo da consentire all'imputato di difendersi sul punto. Si contesta inoltre che i contatti telefonici avuti con alcuni minori possano essere considerati atti idonei alla commissione del reato di abuso sessuale.
- 5) Vizi di motivazione in relazione alla affermazione di colpevolezza per il reato di cui al capo 6).
Si contesta che nella nozione di atti sessuali perseguibili rientrino anche quelli di masturbazione che il M.S. e il minore (omissis) si sono praticati, mostrandosi vicendevolmente via telecamera internet.
Si sostiene che l'autoerotismo tra soggetti non presenti personalmente non può costituire reato, in quanto difetta la violenza come elemento costitutivo della fattispecie, potendo il collegamento via webcam essere interrotto in qualsiasi momento.
- 6) Illogicità e contraddittorietà della motivazione della sentenza, per quanto attiene al trattamento sanzionatorio e al diniego delle attenuanti generiche.
In sintesi, si lamenta, in relazione alla mancata concessione delle generiche e al trattamento sanzionatorio, la omessa valutazione dell'incensuratezza dell'imputato, dell'apprezzamento per la attività ecclesiale svolta dal M.S. espresso da molte persone interpellate, del buon comportamento tenuto sul luogo di lavoro negli uffici della Procura della Repubblica.
Il ricorso non è fondato.
Il primo motivo di gravame si risolve esclusivamente in una diversa lettura delle risultanze probatorie rispetto a quella contenuta nella sentenza e che ha formato oggetto di ampia ed esaustiva motivazione, immune da vizi logici.
In particolare, la valutazione della piena attendibilità delle dichiarazioni rese da (omissis) è stata fondata dai giudici di merito, non solo su rilievi afferenti alla linearità del narrato ed alla corrispondenza di quanto riferito dalla persona offesa con le sue condizioni psicologiche, ma anche mediante la valorizzazione delle dichiarazioni di (omissis) in ordine alla pregressa vicenda di abusi sessuali, svoltasi molti anni prima con modalità del tutto simili.
Osserva, poi, la Corte in ordine al secondo motivo di gravame che l'ipotesi di cui all'art. 609-quater, co. 1, n° 2), C.P. non costituisce aggravante, ma fattispecie autonoma rispetto a quella prevista dall'art. 609-bis c.p., sicché la indicazione della disposizione citata corrisponde esclusivamente ad una contestazione alternativa formulata dalla pubblica accusa, per cui la esclusione di detta fattispecie non implica alcuna riduzione di pena ove ritenuta sussistente.
Peraltro, la violenza sessuale, nel caso in esame è stata ravvisata sotto il duplice profilo della violenza e minaccia e dell'approfittamento delle condizioni di inferiorità psichica del minore con riferimento alla sua condizione di adottato e alle pregresse esperienze negative della sua infanzia, sicché risulta pienamente integrata la fattispecie di cui all'art. 609-bis, co. 1 e co. 2, n° 1), C.P.
Sul terzo motivo di gravame.
La sentenza ha escluso che vi sia stata coincidenza temporale tra gli abusi sessuali e la sottrazione del minore alla potestà genitoriale, osservando che il M.S. e la persona offesa non hanno sempre avuto rapporti sessuali allorché il minore si recava presso l'imputato.
Peraltro, in occasione dell'ultimo episodio il minore si è trattenuto nell'abitazione dell'imputato per un periodo di tempo molto più lungo di quello occorso al compimento dell'atto sessuale.
Sicché la censura dell'imputato, in relazione alla fattispecie di cui all'art. 573 C.P., è sostanzialmente fondata su una diversa ricostruzione dei fatti rispetto a quella operata dai giudici di merito; diversa ricostruzione inammissibile in sede di legittimità.
La violenza privata, inoltre, si è concretata nel minacciare il minore per impedirgli di rivelare i rapporti sessuali ai genitori.
Anche la contestazione del ricorrente sul punto è fattuale e del tutto generica.
Sul quarto motivo di gravame.
Non risulta esservi mai stata un'eccezione di nullità dell'imputazione per la sua genericità, che peraltro sarebbe inammissibile, stante la richiesta di rito abbreviato.
Nel merito, poi, la ricostruzione dei fatti, per come accertata in sentenza, con riferimento ai contatti avuti dall'imputato con i minori e la dimostrata capacità di induzione non solo con riferimento al (omissis), per il quale il reato si è consumato, ma di altri, quali il (omissis), che si recò all'appuntamento con l'imputato, sono adeguatamente dimostrativi della loro idoneità ed univocità alla commissione di abusi sessuali, tenuto conto della minore età dei soggetti destinatali della attenzioni del M.S.
Per completezza di esame sul punto si deve rilevare che la perseguibilità del tentativo di violenza sessuale continuata di cui al capo 5) dell'imputazione deriva, ai sensi dell'art. 609-septies, co. 4, n° 4), C.P. dalla connessione, di natura investigativa, con reati perseguibili di ufficio ed, in particolare, con la fattispecie di cui al capo 1).
Sul quinto motivo di gravame.
Gli atti di masturbazione costituiscono atti sessuali senza necessità di particolari approfondimenti sul punto.
A nulla rileva, poi, che tali atti siano praticati dalla persona offesa su se stessa allorché ciò avvenga per il soddisfacimento degli impulsi sessuali dell'autore del reato.
Sul punto la deduzione del ricorrente in ordine al fatto che nel rapporto per via telematica non sarebbe stato possibile esercitare violenza è del tutto inconferente, trattandosi di atti sessuali con minore infraquattordicenne non caratterizzati dall'uso di violenza, che integrano la fattispecie di cui all'art. 609-quater, co. 1, n° 2), C.P. così come contestata all'imputato.
Egualmente infondate sono le argomentazioni dirette a negare la possibilità che vengano commessi abusi sessuali per via telematica.
Gli atti sessuali nel reato di cui agli artt. 609-bis e segg. C.P., infatti, non devono essere necessariamente caratterizzati dal contatto fisico tra la vittima e il suo aggressore, ben potendo l'autore del reato trovare soddisfacimento sessuale dal fatto di assistere alla esecuzione di atti, quali ad esempio di masturbazione su se stessa, da parte della vittima, cui l'abbia costretta con minacce o il timore incusso da precedenti atti di violenza ovvero, come nel caso in esame, approfittando dell'età del minore che non abbia ancora raggiunto un adeguato livello di maturità, secondo le previsioni delle varie fattispecie criminose, per aderire consapevolmente alla richiesta di prestazioni sessuali.
Quanto alla piena equivalenza, ai fini della valutazione della natura degli atti sessuali, tra l'ipotesi di compresenza materiale, fisica, dei loro autori ovvero di compresenza realizzata con le forme della videoconferenza, mediante il collegamento telematico, questa Corte si è già reiteratamente pronunciata sia pure con riferimento alla diversa fattispecie criminosa dello sfruttamento della prostituzione (Cass. Pen., Sez. III, 22.04.04 n° 25464, rv 228692; Cass. Pen., Sez. III, 21.03.06 n° 15158, rv 233929).
Sul sesto motivo di gravame.
Si tratta di deduzioni esclusivamente fattuali, mentre la sentenza è motivata in termini assolutamente esaustivi in ordine a diniego delle generiche ed al trattamento sanzionatorio.
Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato.
Ai sensi dell'art. 616 C.P.P. segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione di quelle sostenute nel grado dalla parte civile.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione di quelle sostenute dalla parte civile nel grado, che liquida in € 2.000,00 complessivi, oltre accessori come per legge.

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