Penale

PENALE - Indagini difensive, dichiarazioni della p.o. al difensore e utilizzo nel rito abbreviato.

dichiarazione della persona offesa

Sono utilizzabili le dichiarazioni rilasciate dalla parte offesa al suo difensore, che le abbia assunte nelle forme delle investigazioni difensive e le abbia prodotte nel giudizio abbreviato "semplice" chiesto dall'imputato, quale parte civile costituita?
La Corte di Cassazione ha escluso che sussista un divieto di raccogliere le sommarie informazioni della persona offesa da parte del suo difensore.
Ha altresì stabilito che le investigazioni difensive, che possono essere svolte senza limiti temporali in qualsiasi stato e grado del procedimento, possono essere prodotte anche nel giudizio abbreviato. Pertanto, se l'imputato scegliendo il rito premiale-abdicativo rinuncia all'assunzione della prova nel contraddittorio processuale, l'atto unilateralmente formato costituisce materiale probatorio utilizzabile a tutti gli effetti dal giudice per la decisione, anche ove si tratti degli esiti di indagini difensive eventualmente depositati in sede di udienza preliminare, sì da essere valutate per tutte le determinazioni anche a carattere decisorio che egli è chiamato ad assumere, persino nel caso di riti alternativi, in ossequio a quanto chiarito dalla Consulta (cfr. Co.Cost. Ordinanza n° 57/2005).
Poichè nel giudizio abbreviato sono rilevabili soltanto nullità di carattere assoluto e inutilizzabilità cc.dd. patologiche, non essendo affette da tali vizi le investigazioni difensive del difensore della p.o. nei confronti della medesima, né potendosi ricondurre tali dichiarazioni della p.o. alle incompatibilità di cui all'art. 197, co. 1, lett. c-d), C.P.P., allora de jure condito nulla osta alla piena utilizzabilità nel giudizio "a prova contratta" de quo del verbale delle dichiarazioni rese dalla persona offesa al proprio difensore in sede di investigazioni difensive ai sensi dell'art. 391-bis C.P.P.

Corte di Cassazione, Sez. III Penale, Sentenza 21.04/20.09.2010 n° 33898

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE III

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:  
Dott. ONORATO Pierluigi, Presidente
Dott. CORDOVA Agostino, Consigliere
Dott. PETTI Ciro, Consigliere
Dott. FIALE Aldo, Consigliere
Dott. AMORESANO Silvio, Rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul Ricorso proposto da: 1) B.T., nato il (omissis);
avverso la Sentenza del 16.06.09 della Corte di Appello di Milano;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Silvio Amoresano;
sentite le conclusioni del P.G., Dott. Guglielmo Passacantando, che ha chiesto il rigetto del Ricorso;
sentito il difensore delle Parti Civili, Avv. Giancarlo Pizzi, in sost. degli Avv.ti Ruggieri e Finzi, che ha chiesto il rigetto del Ricorso;
sentito il difensore dell'imputato, Avv. Giuseppe Cioncia, che ha concluso per l'accoglimento del Ricorso.

Osserva
1) Con Sentenza in data 16.06.09 la Corte di Appello di Milano confermava la Sentenza emessa il 27.03.07 dal G.U.P. del Tribunale di Milano, con la quale B.T. era stato condannato, previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche equivalenti e applicata la diminuente per la scelta del rito abbreviato, alla pena di anni cinque di reclusione per il reato di cui agli artt. 81, 609-bis, 609-ter, n° 1, C.P., per aver costretto la minore infra-quattordicenne P.N. a subire atti sessuali consistiti in ripetuti palpeggiamenti al seno ed ai glutei e baci sulla bocca (capo a) e per il reato di cui agli artt. 81 e 609-bis C.P., per aver costretto la minore L.A. a subire atti sessuali consistiti in ripetuti palpeggiamenti ai glutei e baci sulle labbra (capo b); unificati detti reati sotto il vicolo della continuazione; con condanna, in favore delle costituite Parti Civili, al risarcimento dei danni da liquidarsi in separate sede, con attribuzione di una provvisionale immediatamente esecutiva.
Dopo aver ricordato che l'appellante aveva ammesso di aver approfittato sessualmente di P.N. e L.A., amiche della figlia C., la Corte territoriale rigettava l'eccezione di inutilizzabilità, per violazione degli art. 391-bis, co. 1 e 4, e 191 C.P.P., delle dichiarazioni rese al suo difensore da P.N. (poste a base dell'ampliamento temporale della contestazione di cui al capo a).
Riteneva la Corte che non esisteva alcun divieto normativo in proposito, per cui non ci si trovava in presenza d'inutilizzabilità patologica della prova.
Avendo, poi, il prevenuto optato per il rito premiale, aveva rinunciato all'assunzione ex novo della prova in dibattimento nel rispetto del contraddittorio, per cui non poteva lamentarsi delle modalità di assunzione della prova medesima.
La scelta processuale dell'imputato rendeva irrilevanti la richiesta di rinnovazione del dibattimento per la escussione di P.N. e la dedotta questione di costituzionalità dell'art. 391-bis, co. 1, C.P.P. per violazione dell'art. 24 Cost.
Riteneva, inoltre, la Corte di merito che non ricorressero le condizioni per il riconoscimento della circostanza attenuante di cui all'art. 609-bis, u.c., C.P. stante la reiterazione della condotta, la potenzialità lesiva della stessa sulla psiche delle parti offese, il numero delle vittime coinvolte.
2) Propone Ricorso per cassazione il B.T., a mezzo del difensore, denunciando con il primo motivo la inosservanza e/o erronea applicazione dell'art. 391-bis, co. 1, 4, 6 e 8, C.P. nonché la manifesta illogicità della motivazione.
La Corte territoriale ha ritenuto utilizzabili le dichiarazioni assunte dai difensori della parte offesa P.N., assumendo erroneamente che esse erano entrate a far parte del giudizio in virtù della scelta dell'imputato di accedere al rito abbreviato, mentre agli atti risulta, invece, che l'eccezione di inutilizzabilità era stata proposta prima della richiesta di rito abbreviato.
L'erroneo presupposto, da cui è partita, ha condizionato la decisione della Corte, che ha ritenuto di non entrare nel merito del motivo di appello in ordine alla richiesta di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale e alla eccezione di incostituzionalità dell'art. 391-bis, co. 1, C.P.P.
Inoltre la possibilità cui fa riferimento la Corte territoriale di esaminare la parte in dibattimento non può sanare l'acquisizione di un atto assunto in violazione di legge (la sanatoria, come chiarito dalle Sezioni Unite, riguarda eventualmente aspetti d'inutilizzabilità fisiologica, ma non patologica).
E tra le prove oggettivamente vietate rientrano certamente quelle assunte in violazione di tassative disposizioni di legge.
Tale divieto è riconducibile alla previsione di cui all'art. 391-bis, co. 1, C.P.P.
Dai lavori preparatori, dalla ratio e dalla lettera della norma risulta che possono essere assunte persone informate sui fatti, ma non certo quelle che lo stesso difensore assiste.
Una diversa interpretazione determina inevitabilmente la violazione dei diritti di difesa di cui all'art. 24 Cost.
Con il secondo motivo chiede di sollevare questione di legittimità costituzionale dell'art. 391-bis, co. 1, C.P.P., per violazione dell'art. 24 Cost., laddove si ritenga che l'unica interpretazione possibile sia quella individuata dalla Corte territoriale.
Con il terzo motivo denuncia la inosservanza dell'art. 191 C.P.P.
Non è consentito infatti attribuire efficacia sanante a prove acquisite in violazione dei divieti stabiliti dalla legge per il solo fatto che si è optato successivamente per il rito abbreviato.
Si tratta, infatti, di una prova illegittimamente acquisita, perché in contrasto con gli altri commi dell'art. 391-bis C.P.P. e con l'art. 24 Cost.
Con il quarto motivo denuncia la erronea applicazione della legge penale in relazione all'art. 609-bis, u.c., C.P. e la manifesta contraddittorietà della motivazione.
Secondo la giurisprudenza di legittimità, per l'applicazione della circostanza attenuante del fatto di minore gravità bisogna procedere ad una valutazione globale del fatto stesso e va data particolare importanza alla "qualità" dell'atto piuttosto che alla "quantità" di violenza fisica, all'entità della compressione della libertà sessuale ed al danno arrecato alla vittima.
Gli elementi di fatto indicati dalla Corte (la durata pluriennale delle condotte e le due vittime di età minore) non denotano affatto la gravità della condotta.
3) Con memoria depositata in data 06.04.2010 il difensori delle costituite Parti Civili deducono, in relazione ai motivi di Ricorso dell'imputato, che non esiste alcun divieto normativo all'assunzione da parte del difensore di informazioni da parte della persona offesa assistita.
Quanto alla presunta violazione del diritto di difesa, la Corte territoriale correttamente fa riferimento ad una estrema genericità della questione di costituzionalità sollevata.
Avverso l'atto unilateralmente formato la legge assicura il contraddittorio processuale; scegliendo il rito abbreviato, l'imputato ha però rinunciato a tale assunzione.
Il fatto che l'eccezione d'inutilizzabilità sia stata formulata prima o dopo la richiesta non ha alcuna rilevanza.
Infine la Corte territoriale ha ampiamente e coerentemente motivato in ordine al trattamento sanzionatorio ed all'esclusione dell'ipotesi di cui all'art. 609-bis, u.c., C.P.
3) Il ricorso è infondato e va, pertanto, rigettato.
3.1) Va preliminarmente esaminata l'eccezione di inutilizzabilità delle dichiarazioni della parte offesa P.N.
Risulta dalla sentenza di primo grado che tali dichiarazioni, assunte dai difensori della stessa parte offesa in data 14.02.07, venivano depositate il 06.03.07.
All'udienza preliminare del 09.03.07 il difensore eccepiva l'inutilizzabilità delle stesse in quanto assunte in violazione dell'art. 391-bis, co. 4 e 6, C.P.P.
Dopo il rigetto dell'eccezione da parte del G.I.P. e la modifica dell'imputazione, il difensore dell'imputato, munito di procura speciale, faceva richiesta di ammissione al rito abbreviato semplice.
3.1.1) Tanto premesso, è assolutamente irrilevante che l'eccezione d'inutilizzabilità sia stata proposta prima della richiesta di giudizio abbreviato.
Va ricordato che, a seguito della L. n° 479/1999, la disciplina del giudizio abbreviato è stata completamente modificata, sia perché la richiesta dell'imputato non è più subordinata al consenso del P.M., sia perché non è più necessaria la verifica di ammissibilità da parte del giudice (tranne che nell'ipotesi prevista dall'art. 438, co. 5, C.P.P.).
L'imputato ha quindi diritto di essere giudicato con il rito abbreviato "semplice" e la richiesta da lui presentata non può in alcun modo essere rigettata.
Un'ulteriore sostanziale innovazione è rappresentata dal materiale probatorio utilizzabile, che non è più solo quello acquisito durante le indagini preliminari.
Sono previste, infatti, varie forme d'integrazione probatoria o per iniziativa dell'imputato (art. 438, co. 5, C.P.P.) o del P.M. (che può chiedere l'ammissione di prova contraria, in caso di richiesta dell'imputato di integrazione) o infine del giudice (l'art. 441, co. 5, C.P.P. prevede che il giudice quando ritiene di non poter decidere allo stato degli atti assume anche d'ufficio gli elementi necessari ai fini della decisione).
Sulla disciplina del rito abbreviato, così come era stata inizialmente delineata dal legislatore, ha avuto notevole incidenza anche la previsione delle indagini difensive di cui all'art. 327-bis C.P.P. ("Il difensore ha facoltà di svolgere investigazioni per ricercare ed individuare elementi di prova a favore del proprio assistito", co. 1; "la facoltà indicata al comma 1 può essere attribuita per l'esercizio del diritti di difesa in ogni stato e grado del procedimento", co. 2).
Le investigazioni difensive possono essere svolte senza limiti temporali in qualsiasi stato e grado del procedimento e possono essere prodotte anche nel giudizio abbreviato.
L'art. 442, co. 1-bis, C.P.P. prevede che ai fini della deliberazione il giudice utilizza gli atti contenuti nel fascicolo di cui all'art. 416, co. 2, C.P.P. la documentazione di cui all'art. 419, co. 3, C.P.P. e le prove assunte nell'udienza.
Il materiale utilizzabile è, perciò, non solo quello contenuto nel fascicolo del P.M., ma anche quello acquisito in udienza.
È indubitabile che i risultati delle investigazioni difensive possano essere prodotti anche nel corso dell'udienza preliminare (l'art. 327-bis C.P.P., come si è visto, fa riferimento ad ogni stato e grado del procedimento) senza alcun obbligo preventivo di avviso alla controparte o di deposito, in conformità peraltro del principio di c.d. "continuità investigativa" già affermato dalla Corte Costituzionale con la sentenza n° 16/1994 e n° 258/1991.
Da ciò discende che, coincidendo il termine ultimo per la richiesta di giudizio abbreviato con quello per la formulazione delle conclusioni (art. 438, co. 2, C.P.P.), il materiale probatorio utilizzabile dal giudice per la decisione (art. 442, co. 1-bis, C.P.P.) non può che comprendere anche i risultati delle indagini difensive eventualmente depositati in sede di udienza preliminare.
È del tutto evidente, inoltre, che le indagini difensive, legittimamente presentate, debbano essere valutate dal giudice in relazione a tutte le determinazioni che è chiamato ad assumere in quella fase del procedimento e quindi anche in ordine a quelle di carattere decisorio che definiscano il procedimento con i riti alternativi (giudizio abbreviato e applicazione pena concordata).
La Corte Costituzionale ha affermato che "Il carattere essenziale del giudizio abbreviato consiste, anche dopo la L. n° 479/1999, nell'utilizzazione probatoria degli atti assunti unilateralmente nel corso delle indagini preliminari", precisando che "tale carattere non è stato messo in crisi dalla maggiore incidenza riservata alle indagini difensive disciplinate dalla L. n° 397/2000, in quanto anche tali atti possono essere utilizzati nel corso del giudizio abbreviato al pari degli atti raccolti dal pubblico ministero nel corso delle indagini preliminari (cfr. Co.Cost. Ordinanza n° 57/2005).
Le dichiarazioni ricevute e le informazioni assunte dai difensori della parte offesa, costituitasi Parte Civile, erano state, peraltro, depositate prima dell'udienza preliminare, per cui indubitabilmente facevano parte del materiale utilizzabile e di cui l'imputato doveva tener conto nel decidere le sue strategie processuali.
Una volta che il G.I.P. aveva rigettato l'eccezione d'inutilizzabilità, egli, a mezzo del suo procuratore speciale, poteva optare per il rito premiale e quindi essere giudicato sulla base di tutto il materiale probatorio acquisito (e quindi anche di quelle dichiarazioni della parte offesa) oppure affrontare il dibattimento con la possibilità di esaminare in contraddittorio la medesima parte offesa.
3.1.2) La scelta del rito abbreviato pone, comunque, il problema (di qui l'irrilevanza del momento della proposizione della eccezione) dell'individuazione del materiale probatorio "legittimo" da utilizzare ai fini della decisione.
Questa Corte, con la Sentenza a Sezioni Unite del 21.06.2000 n° 16, ha affermato che "il giudizio abbreviato costituisce un procedimento a "prova contratta", alla cui base è identificabile un patteggiamento negoziale sul rito, a mezzo del quale le parti accettano che la regiudicanda sia definita all'udienza preliminare alla stregua degli atti di indagine già acquisti e rinunciano a chiedere ulteriori mezzi di prova, così consentendo di attribuire agli elementi raccolti nel corso delle indagini preliminari quel valore probatorio di cui essi sono normalmente sprovvisti nel giudizio che si svolge invece nelle forme ordinarie del dibattimento. Tuttavia tale negozio processuale di tipo abdicativo può avere ad oggetto esclusivamente i poteri che rientrano nella sfera di disponibilità degli interessati, ma resta privo di negativa incidenza sul potere-dovere del giudice di essere, anche in quel giudizio speciale, garante della legalità del procedimento probatorio. Ne consegue che in esso, mentre non rilevano né l'inutilizzabilità cosiddetta fisiologica della prova, cioè quella coessenziale ai peculiari connotati del processo accusatorio, in virtù dei quali il giudice non può utilizzare prove, pure assunte "secundum legem", ma diverse da quelle legittimamente acquisite nel dibattimento secondo l'art. 526 C.P.P., con i correlati divieti di lettura di cui all'art. 514 C.P.P. (in quanto in tal caso il vizio sanzione dell'atto probatorio è neutralizzato dalla scelta negoziale delle parti, di tipo abdicativo), né le ipotesi di inutilizzabilità "relativa" stabilite dalla legge in via esclusiva con riferimento alla fase dibattimentale, va attribuita piena rilevanza alla categoria sanzionatoria dell'inutilizzabilità cosiddetta "patologica", inerente cioè agli atti probatori assunti "contro legem", la cui utilizzazione è vietata in modo assoluto non solo nel dibattimento, ma in tutte le altre fasi del procedimento, comprese quelle delle indagini preliminari e dell'udienza preliminare, nonché le procedure incidentali cautelari e quelle negoziali di merito".
La giurisprudenza successiva ha costantemente ribadito che "nel giudizio abbreviato sono rilevabili e deducibili solo le nullità di carattere assoluto e le inutilizzabilità cosiddette patologiche.
Ne consegue che l'irritualità nell'acquisizione dell'atto probatorio è neutralizzata dalla scelta negoziale delle parti di tipo abicativo, che fa assurgere a dignità di prova gli atti di indagine compiuti senza rispetto delle forme di rito" (Cass. Pen., Sez. 3^, n° 29240 del 09.06.2005; conf. Cass. Pen., Sez. 6^, n° 14099 del 30.01.2007; Cass. Pen., Sez. 3^, n° 39407 del 26.09.2007).
3.1.2.1) Bisogna quindi verificare se ci si trovi in presenza di una nullità assoluta o di una inutilizzabilità patologica.
Certamente non si tratta di una nullità (e tantomeno di carattere assoluto).
Nell'art. 177 C.P.P. è codificato il principio di tassatività delle nullità ("l'inosservanza delle disposizioni stabilite per gli atti del procedimento è causa di nullità soltanto nei casi previsti dalla legge").
L'art. 391-bis C.P.P. e segg. non prevedono alcuna ipotesi di nullità nei casi di cui alle deduzioni difensive; né può certamente parlarsi di nullità di carattere generale, riconducibile alle ipotesi di cui all'art. 178 C.P.P.
E, del resto, neppure il ricorrente fa riferimento alla "categoria" delle nullità assolute.
Assume, infatti, che le dichiarazioni siano inutilizzabili ex art. 191 C.P.P. ("Le prove acquisite in violazione dei divieti stabiliti dalla legge non possono essere utilizzate") e ricava tale divieto dal disposto di cui all'art. 391-bis, co. 1, C.P.P.
Rileva il Collegio che l'interpretazione della norma proposta dal ricorrente non trova conforto nel dato normativo.
La norma, con un'unica "eccezione" ("Salve le incompatibilità previste dall'art. 197, co. 1, lett. c) e d), C.P.P.), consente al difensore, al sostituto, agli investigatori privati autorizzati o ai consulenti, al fine di acquisire notizie, di conferire con le persone in grado di riferire circostanze utili ai fini dell'attività investigativa.
Le dichiarazioni della parte offesa non sono certo riconducigli alle incompatibilità di cui all'art. 197, co. 1, lett. c), C.P.P. ("Non possono essere assunti come testimoni il responsabile civile e la persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria") o lett. d) ("Coloro che nel medesimo procedimento svolgono o hanno svolto la funzione di giudice, pubblico ministero o loro ausiliario nonché il difensore che abbia svolto attività di investigazione difensiva e coloro che hanno formato la documentazione delle dichiarazioni e delle informazioni assunte ai sensi dell'art. 391-ter C.P.P.").
Significativamente l'art. 197, lett. d), C.P.P. fornisce argomenti nel senso opposto alla tesi del ricorrente. In base al combinato disposto degli art. 391-bis, co. 1, e 197, co. 1, lett. d), C.P.P. si ricava, invero, che non possono fornire notizie o rendere dichiarazioni coloro che a norma dell'art. 391-ter C.P.P. hanno formato la documentazione (difensore o sostituto, che possono avvalersi per la materiale redazione del verbale di persone di loro fiducia), venendo costoro "equiparati" agli altri soggetti in precedenza elencati dall'art. 197, medesima lett. d), C.P.P.
Le eccezioni previste dall'art. 391-bis, co. 1, C.P.P. riguardano, evidentemente e palesemente, coloro che sono incompatibili con l'ufficio di testimone; e tra essi, ovviamente, non può certamente ricomprendersi proprio la parte offesa.
Il divieto di assumere informazioni dalla parte offesa non può neppure ricavarsi, come pretende il ricorrente, dall'espressione impiegata nel più volte richiamato art. 391-bis, co. 1, C.P.P. ("Persone in grado di riferire circostanze utili ai fini dell'attività investigativa").
Non è, infatti, sostenibile che la parte offesa non rientri tra detti soggetti; piuttosto, specialmente nei reati sessuali, il più delle volte, è "unico testimone" e quindi la sola in grado di riferire circostanze utili ai fini investigativi.
3.2) Siffatta interpretazione della norma non presenta, poi, alcun profilo di illegittimità costituzionale.
Se è dato ben comprendere, la violazione dell'art. 24 Cost., prospettata dal ricorrente, riguarderebbe lo stesso difensore della parte offesa.
Ma costui è libero di procedere o meno a quelle acquisizioni e la persona offesa può esercitare la facoltà di non rispondere o di non rendere la dichiarazione di cui art. 391, co. 3, lett. d), e co. 10), C.P.P.
Per altro verso non sussiste alcuna violazione dei diritti di difesa dell'imputato, il quale, non avvalendosi della facoltà di essere giudicato con rito abbreviato (e quindi del rito premiale) può far sì che quella prova venga assunta in contraddicono nel dibattimento.
Ineccepibilmente osserva la Corte territoriale che "qualora le modalità di espletamento della prova unilateralmente assunta siano ritenute lesive dalla difesa, il sistema prevede quale correttivo l'assunzione ex novo della prova in dibattimento".
3.3) Correttamente poi la Corte di merito ha rigettato la richiesta di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale.
Questa Corte ha costantemente affermato che "nel processo celebrato con il rito abbreviato, l'imputato rinunzia definitivamente al diritto di assumere prove diverse da quelle già acquisite agli atti o richieste come condizione a cui subordinare il giudizio allo stato degli atti ai sensi dell'art. 438, co. 5, C.P.P.
I poteri del giudice di assumere gli elementi necessari ai fini della decisione (art. 411, co. 5, C.P.P.), di disporre in appello la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale (art. 603, co. 3, C.P.P.) sono poteri officiosi, che prescindono dall'iniziativa dell'imputato, non presuppongono una facoltà processuale di quest'ultimo e vanno esercitati solo quando emerga un'assoluta esigenza probatoria" (cfr. Cass. Pen., Sez. 3^, n° 12853 del 13.02.2003).
È stato ribadito anche successivamente che "a seguito della nuova formulazione dell'art. 438 C.P.P., deve ritenersi possibile la richiesta di rinnovazione in appello dell'istruttoria dibattimentale da parte dell'imputato che abbia subordinato la richiesta di accedere al rito abbreviato ad una specifica integrazione probatoria, mentre chi abbia richiesto il rito abbreviato alla stato degli atti può solo sollecitare il giudice di appello all'esercizio del potere di ufficio di cui all'art. 603, co. 3, C.P.P." (cfr. Cass. Pen., Sez. 3^, n° 15296 del 02.03.2004; conf. Cass. Pen., Sez. 4^, n° 15573 del 20.12.2005).
Le dichiarazioni di P.N. erano state già legittimamente acquisite, per cui la Corte territoriale non ha ravvisato alcuna necessità di procedere ad esame della stessa.
3.4) Infine corretta è la motivazione della Sentenza impugnata anche in relazione al rigetto della richiesta di concessione della circostanza attenuante del fatto di minore gravità.
Secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte l'attenuante di cui all'art. 609-bis, co. 3, C.P. deve considerarsi applicabile in tutte quelle fattispecie in cui, avuto riguardo ai mezzi, alle modalità esecutive e alle circostanze dell'azione, sia possibile ritenere che la libertà sessuale della vittima (bene-interesse tutelato dalla norma) sia stata compressa in maniera non grave.
Deve quindi farsi riferimento a una valutazione globale del fatto, quali mezzi, modalità esecutive, grado di coartazione esercitato sulla vittima, condizioni fisiche e mentali di questa, caratteristiche psicologiche valutate in relazione all'età, così da poter ritenere che la libertà sessuale sia stata compressa in modo non grave, come, pure, il danno arrecato anche in termini psichici (cfr. Cass. Pen., Sez. 3^, n° 5002 del 07.11.2006; Cass. Pen., Sez. 3^, n° 45604 del 13.11.2007).
I Giudici del merito hanno, con argomentazioni non censurabili in fatto e in diritto, escluso l'applicazione dell'attenuante, sia per il comportamento gravemente allarmante dell'imputato in danno di due ragazzine ("a lungo tenute in stato di colpevole soggezione dal maturo padre della loro amichetta") sia per l'elevato grado di compromissione della libertà sessuale delle minori ("Segnate a vita dalla vicenda in esame").
3.5) Al rigetto del Ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e alla rifusione delle spese sostenute in questa fase dalle costituite Parti Civili e che si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara irrilevante e manifestamente infondata la dedotta questione di legittimità costituzionale.
Rigetta il Ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed alla rifusione delle spese a favore delle Parti Civili, che liquida in complessivi € 1.000,00 per ciascuna delle medesime parti, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 21 aprile 2010.
Depositato in Cancelleria il 20 settembre 2010

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